Mentre sto lentamente riaffiorando ad un livello accettabile di coscienza, dal rumore mi sembra di essere ancora al quarto piano, nella stanza piena di api che bombiscono all’impazzata. Faccio per sbadigliare, e mi accorgo che il mio viso è coperto da una maschera trasparente e le mie braccia sono bloccate da qualche legaccio misterioso. Spalanco gli occhi spaventato. Di fronte a me c’è un consesso di gente dall’aspetto serio e cogitabondo – alcuni membri della squadra medica e terapeutica della struttura ed altri che non conosco, più un papero giallo (un milite sanmarinese) che evidentemente sorveglia che io, nemmeno così legato, commetta qualche marachella. Quel ronzio si rivela essere il mormorio di una serie di macchine elettroniche, cui sono evidentemente collegato. Cerco di alzarmi, ma non posso, e la maschera mi opprime. “Finalmente”, dice il capo della struttura che mi ospita. Assomiglia a Peter Sellers, quindi mi sembra giusto chiamarlo Dottor Strangelove. Ghigna soddisfatto. Accanto a lui, invece, il Sergente Hartmann sembra sollevato da chissà quale preoccupazione. “Dottor Fusi, finalmente lei è riemerso, ci eravamo davvero preoccupati, questa volta”. Riemerso da cosa? “Però adesso, dopo tre giorni e tre notti di trattamento ipnotico di coma indotto, lei ha smesso di avere quelle apnee notturne ed ha perso tredici chili senza soffrire affatto. A noi è rimasto lo stupefacente spettacolo delle follie inventate dalla sua fantasia, che un nostro speciale strumento ha trasmesso per 72 ore sui nostri schermi. Caciadroni, cazookas, Marescialli che sparano col mitra dal tetto e poi si fanno portare la pizza di notte in albergo, scritte misteriose sullo specchio del suo bagno. Sul serio, lei è davvero impressionante”. Cerco di parlare, ma la maschera me lo impedisce. Me la tolgono e mi accorgo che sono terribilmente indolenzito, la mia lingua è asciutta, non riesco a muoverla bene. “Non si preoccupi, fra una mezz’ora inizierà a sentirsi meglio. Lei non si divincoli, non faccia stupidaggini, e vedrà che andrà tutto bene. La saluto, verrò a vederla più tardi, in serata”. Di colpo la stanza si svuota. In un angolo resta Rankxerox che mi guarda con i suoi grandi occhi tristi metallici e tace. Ci vuole un po’ di tempo, ma poi mi sento meglio. Mi guardo le mani. Rankxerox dice qualcosa fuori dalla stanza, evidentemente chiama un’infermiera. Mi estraggono le endovenose, mi scollegano gli elettrodi, poi Rankxerox mi aiuta ad alzarmi e mi dice di fare piano, “che adesso girerà la testa, dopo tre giorni di coma”. Ma è tutto vero? O meglio, era tutto falso? Ho sognato tutto? Rankxerox sorride mestamente: “L’hanno acciuffata qualche sera fa che cadeva per le scale dal quarto piano. Ha battuto la testa. Non faceva che ripetere La Montagna Der Sapone, La Montagna Der Sapone”, quindi abbiamo chiamato l’emergenza ed è stato deciso di non spostarla per non peggiorare il suo trauma cranico e l’abbiamo tenuta in coma artificiale per qualche giorno, finché non siamo stati sicuri che stesse bene – e nel frattempo abbiamo seguito i voli della sua mente: davvero epici, anche se spesso un po’ confusi”. Ma non è possibile, non posso aver inventato tutto! Il mio cazooka… Rankxerox annuisce: “Stia calmo, non si agiti. Capiamo che per lei il confine tra vero e fantasia sia una specie di velo osmotico che permette di andare di qua e di là con estrema facilità. Davvero una personalità interessante! Lei dovrebbe scrivere libri, invece di fare il contabile”. Mi viene da vomitare. Gli chiedo di lasciarmi solo, ma scuote la testa: “Non posso, qualcuno deve fare attenzione che non accada nulla di male”. Sicché mi sdraio nuovamente e spero di assopirmi per poi, al risveglio, scoprire che si trattasse soltanto di un incubo. Niente da fare. Mi viene da piangere. Mi ricordo delle balle che inventavo da ragazzino, poi delle balle che raccontavo già più grande, nella speranza di piegare la realtà ai miei sogni. Tutto mi appare un continuum nel quale la mia biografia diviene una macchia indistinguibile, una nebbia turchina ed imperscrutabile, una confusione terribile. Quand’è che la maschera che indossiamo per sopravvivere nel quotidiano prende il sopravvento ed il fine inizia non solo a giustificare i mezzi, ma a crearli non più ad immagine e somiglianza, come predica il cristianesimo, ma al posto della realtà? E quelle voci che mi parlano nella testa? Sono pazzo del tutto? Ad un certo punto del cammino il razionalismo esasperato – l’ultima difesa contro la follia delle religioni e delle ideologie che schiacciano l’umanità ed i suoi singoli componenti – si svincola dalla coscienza e diviene una cosa a se stante. Come il giornalismo e la politica. Non è vero ciò che è vero, ma ciò che puoi dimostrare. Dal momento che ci vuole poco a dimostrare empiricamente una bugia, a far sembrare efficiente un disastro o a contrabbandare un vicolo cieco in un’autostrada a sei corsie che porta dritto al futuro, non siamo più costretti ad essere veridici, basta essere indenunciabili. Stringiamo accordi, ci diciamo balle che ci legano, che ci aiutano a nasconderci, ma la verità, spinta dall’intuito – che è il divino in noi – riemerge come un’ebollizione della coscienza che, costretta in spazi sempre più angusti, si scalda troppo ed inizia a trasformarsi in vapore. Finché si arriva all’apparente paradosso secondo cui gli unici momenti di verità sono quelli in cui stai recitando sul palco. Basta rifiutarsi di controllare, di imparare, di capire, di vedere le cose in prospettiva, e già siamo in un mondo parallelo in cui le cose più importanti sembrano essere l’elezione di un capo dello Stato, la crisi della nazionale, gli amori di una sudamericana col nasone e le gambe lunghe, le scemenze proposte dalla TV e dal cinema, che ricostruiscono una realtà possibile, deterministica, e quindi finalmente comprensibile, sincretica e credibile. Parlo troppo difficile, eh? Alzandomi mi accorgo di essere davvero più leggero. I movimenti mi riescono più semplici, respiro senza difficoltà. Ebbene? Ebbene, non importa cosa sia vero, basta che funzioni, ed ha funzionato. Come ci siamo arrivati può essere noioso o avventuroso, vero Edward Bloom? Sapessi quanto spesso ti penso e quanto sei importante per me… Rankxerox mi accompagna amorevolmente fino alla sala ristorante, è ora di pranzo. Lungo il corridoio il sergente Hartmann mi chiede preoccupatissima se sto bene. Faccio di sì col capo, ci guardiamo con empatia, lei mi fa l’occhiolino. Insomma mi sono sognato tutto, le api erano semplicemente le macchine cui ero collegato, tutto il resto era una pura fantasia. Roba da pazzi. Il personale del ristorante mi saluta mentre entro, sorrido a tutti, mentre Rankxerox mi accompagna maternamente al mio posto. Intorno a me… intorno a me… “Buongiorno Maresciallo, anche lei qui? La credevo in un sogno”, esclamo. Guarda verso il basso e risponde che non mi conosce. Accanto a lui le comari napoletane, e dietro a loro, un tavolo più in là, le tre maestrine… ora sono davvero spaventato e disorientato. Mi viene da piangere. Allora è vero, la realtà è solo un punto d’incontro fra tutti i sogni, le illusioni e le coercizioni… devo chiamare casa, sentire voci di chi amo, sapere che sono ancora io, o che almeno in un altro film devo esserlo stato. Aiuto.

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