Per mettere per iscritto le mie reazioni ed i miei ragionamenti su XXX di Fabio Massimo Franceschelli ci ho messo molto. Ci ho messo molto perché questo lavoro è di una grandissima profondità, perché mi ha profondamente disturbato ed ispirato al contempo, perché volevo aspettare che si esaurisse l’onda delle emozioni e giungesse la risacca della ragione. Del resto, da quando vedo i suoi lavori, Fabio Massimo si è sempre dimostrato l’autore più coerentemente politico tra tutti coloro che conosco – sebbene la mia esperienza, ovviamente, non possa essere che la rappresentazione di una briciola della spettacolare produzione del teatro alternativo europeo. Per questo motivo ho deciso di dividere la mia recensione per argomenti: la politica, la società, l’economia, l’arte e la sessualità. Partendo proprio da quest’ultima parte, che è quella che più mi ha disturbato. La sessualità – Mi ha disturbato, come dice XXX, perché sono un piccolo borghese. L’animale in me viene mediato dall’esercizio del potere, la mia sessualità non è più naturale (in senso marxista) ma è mediata, collegata ad invelenimenti borghesi come il possesso, il controllo, la violenza, l’oppressione, l’umiliazione. Insomma, per vendicare la mia situazione di frustrazione (su cui XXX dice parole fondamentali ed indimenticabili) devo trovare un oggetto di rivalsa che stia “sotto” di me: una donna in posizione di schiava, di oggetto, oppure un essere umano che contraddica la divisione gerarchica in generi. Più in basso di una schiava ci sono un uomo che sia donna o una donna che sia uomo – un omosessuale, un ermafrodita, un diverso. Questa realtà terribile e brutale è talmente parte di me stesso che mi eccita e mi fa ribrezzo al contempo, quando la vedo messa in scena. Mi disturba perché suscita in me una reazione che sembra fisica ed invece è antropologica e psicologica ed è collegata in modo inscindibile al mio essere piccolo borghese. Ed è proprio lì che Franceschelli mi aspetta con un ghigno di consapevolezza: giovanotto, se non sei scisso, allora sei fregato, tu piccolo borghese di merda. Ma io non voglio esserlo, io vorrei essere tutt’altro, non voglio che una conturbante Carlotta Piraino mi metta in difficoltà e mi costringa a pormi delle domande! E qui c’è il centro dell’arte di questo lavoro, perché supera Pasolini nel mostrare, 40 anni dopo, la scissione che si produce in seno all’imborghesimento massificato e decerebrato di questi anni. Ma ne parlerò dopo. Mi resta la convinzione del fatto che la sessualità sia controrivoluzionaria (come del resto erano Pasolini e la sua opera), tant’è che XXX prende di punta Hegel proprio nel topos più debole, quello della dialettica del materialismo, che invece Pasolini giudica (al netto di 40 anni fa) unificante. Ha ragione, specie quando vediamo che per molti versi lo è ancora. Insomma,la sessualità di XXX, che pervade l’intera messa in scena (per esempio negli sketch pubblicitari), è azzeccata in quanto mette in crisi le mie (le nostre, credo) debolezze, ma al contempo lascia che vada persa una parte del significante, perché nel momento in cui la nostra parte animale segreta, insicura, violenta, repressa viene chiamata gran voce a scaldarsi, la nostra attenzione viene distolta dal resto del discorso e si fa poi fatica a rientrare nel tema. Lo si vede bene anche nella difficoltà che si prova a caratterizzare l’opposizione tra i due esempi degli sketch pubblicitari – il bello e vincente dalla sessualità violenta e repressa, legata al potere, ed il brutto e testosterante compagno, piccolo e peloso, che la pubblicità indica continuamente come modello perdente e buffo. Anche qui c’è un discorso profondissimo e non banale sulla sessualità. La potenza fisica viene irrisa, dichiarata perdente, squallida, volgare. Mentre la volgarità dell’esercizio repressivo ed umiliante del potere e della mendacia viene proposta come modello vincente. In un mondo di intellettuali depenizzati, grida il “povero ma brutto”, per convincere le donne a lasciar stare chi ancora ha una vera potenza sessuale bisogna metterlo ai margini della società, fargli perdere la sua coscienza di classe, usare il potere, l’umiliazione, la commercializzazione estrema del sesso. Pasolini lo diceva 40 anni fa. Oramai il piduismo perfetto della nostra società lo ha messo in pratica ed ha dimostrato che funziona – persino con me, che quindi esco umiliato e schifato da me stesso. L’economia – XXX considera l’ENI come il fulcro economico di questa cancellazione della scissione in favore di un monolitismo impotente ed incapace di accettare e comprendere la contraddittorietà della realtà. Con lo sguardo di oggi bisogna dire che forse questa considerazione non è più giusta ed attuale, perché nel frattempo siamo usciti dal capitalismo industriale. E ne siamo usciti proprio dopo che il potere, per unificare le masse, aveva promesso a tutti la nascita della borghesia per tutti come soluzione della scissione tra essere ed avere. Una massificazione che serviva per strumentalizzare il Terzo Stato e convincerlo a seguire con entusiasmo i dettami del capitalismo, una misura efficace di cancellazione della coscienza di classe. E qui torniamo alla finestra che si apre – una finestra che dovrebbe essere di speranza, perché la crisi e la scomparsa del capitalismo industriale hanno riprodotto una scissione che Pasolini non poteva prevedere. Proprio in quel punto un personaggio chiave, come il padre di Cinzia, che è donna, che parla una lingua alta e precisa ma con un’inflessione dialettale che rovescia completamente l’operazione “anticomunista” (Dio che parole che mi fai dire, Fabietto mio santo…) dello slogan “poveri ma belli”, spara tra le parole più importanti di XXX: Voi avete tradito voi stessi, voi vi rifiutate di capire, voi vi siete arresi, voi vi siete adagiati, siete caduti senza combattere, avete accettato tutto. Mentre il personaggio, con un sorriso accattivante, elenca tutti questi nostri peccati senza redenzione possibile sull’altare del rivoluzionariato annichilito e preterintenzionale (umorale, ancestrale, fisico), mi viene da piangere per la rabbia e la delusione. Delusione di me stesso. E qui Franceschelli è grandissimo: l’economia (non il capitalismo) è una leva della repressione culturale ed antropologica. XXX supera la dicotomia piccolo borghese fra ideologia comunista ed ideologia cristiana, fascista, liberista – ed in quel momento mi commuove, mi ricorda che la mia vita è un fallimento ben mascherato. Basterebbe questo a giustificare questo intenso lavoro, a renderlo sgradevolmente irrinunciabile, meraviglioso, orribile. L’economia, in mano a Franceschelli, torna ad essere ciò che diceva mio nonno: un’invenzione (l’unica) dell’essere umano – quindi l’espressione perfetta dalla sua violenza e della sua follia, lo strumento perfetto per l’annullamento (individuale) e la cancellazione (collettiva) dell’umanità. La politica e la società – XXX descrive un mondo futuro (e che oggi, purtroppo, è immanente) in cui gli elementi della contrapposizione classica tra fascismo e comunismo vengono mediati e si fondono nel cattolicesimo. Il padre di Cinzia lo dice esplicitamente: conservatore è chi ha nostalgia per un mondo passato, quindi anche il comunismo è malato di conservatorismo. La conservazione dell’apparenza della dicotomia è funzionale all’esercizio del potere che offre in cambio alla rinuncia alla coscienza di classe la fine del dubbio, della scissione, della povertà – indicata come nelle pubblicità in uno “sbaglio colpevole” di chi resta povero. Pasolini mette il dito sulla piaga e paga per questo con un isolamento intellettuale che dev’essere stato immenso. Ma ripeto: se la soluzione di questo isolamento è puntare sulla dirompenza della sessualità corrotta, allora questo isolamento diventa lezioso snobismo – ed anche di questo parla Franceschelli senza peli sulla lingua. Sicché trovo meravigliosa la similitudine accentuata tra il personaggio interpretato da Alessandro Porcu ed Aldo Moro. Perché oggi più che mai la comprensione e l’analisi del ruolo politico di Aldo Moro diventa contraddittorio, mai veramente investigato, più vicino alla rivoluzionarietà di Pasolini che all’immagine di cariatide democristiana cui siamo abituati dall’iconografia comunistibile classica. Nella riproposizione della scissione, che è propria di oggi, e non del “Petrolio” pasoliniano, tutto va rimesso in discussione. Per questo, quando il personaggio renziano della mediatrice pubblicitaria (che brava Francesca La Scala…) si presenta come sedotta mediatrice tra il prete gauchista (lo sberleffico Matteo Davide) e il proletariosauro villoso e canottierico (il sardonico Alessandro Margari), Porcu/Moro contraddice, rallenta, placa, scinde. Bisogna ripartire da lì, sembra dire XXX: capire che la dicotomia tra PCI e DC fosse soprattutto estetica e funzionale agli interessi del capitalismo industriale. Oggi, dopo la morte di quel capitalismo, continuare ad essergli fedele è suicida, antiestetico, straniante, ridicolo, inadeguato, volgare. Questa è quindi la società di oggi, e con questa si descrive anche la politica che ne rappresenta le proiezioni folli, psicotiche, ansiose ed esistenziali della massa declassizzata. La redenzione proposta dal marxismo non c’è stata, quella promessa dal liberismo si è rivelata per il suo opposto, resta solo quella cristiana, cui non crede nessuno, ma si spera apotropaicamente che sia almeno funzionale. Mi viene da dire che in questa chiave si spiegano e si giustificano il grillismo, lo juventinismo ed il matteosalvinismo. Disprezzo? Macché! Ma se ho appena detto che XXX e Franceschelli mi hanno sbattuto in faccia il fatto che io sia omologo a questo sistema schifoso! L’arte – Su questo tema ognuno ha il diritto a dire la sua. Ha ragione a stizzirsi Fabio Massimo, quando invoca la dannazione di Wittgenstein. Ma se è sincero si sarà accorto che il pubblico rideva esattamente quando ciò era richiesto dall’umorismo squallido e piccolo borghese – cui XXX in ogni caso, prendendone le distanze, inguaribilmente ammicca. Per questo mi permetto di dire la mia in completa libertà, con l’affetto e la grandissima stima che ho per Franceschelli ed i suoi attori. Il filmato che apre XXX è arte, perché riesce a far emergere l’orrore osceno del Palazzo dell’ENI dalla quiete apparente del laghetto del borghesismo verde. La questione della staffetta ideale tra Pasolini e Franceschelli, mediata dallo scambio di libri, non è arte, ma è orgoglio e narcisismo. Parlare italiano in un’epoca in cui tutti balbettano sgrammaticatamente e beceramente in una burbanza post-cioé e persino post-intelletualista, è arte, perché rimette al centro del discorso la precisione come contrapposizione alla desemantizzazione, che è la grande trovata massificante e controrivoluzionaria del piduismo e del berlusconismo, che è stata ora fatta propria con successo dal renzismo più soffice, protervo, sottile, viscido ed untuoso. Porre scissione e massificazione come fulcro di un lavoro complesso sulla sessualizzazione della società è arte, perché trascende la divisione classica tra narrazione e meta-narrazione e diviene immanenza, univocità, rappresentazione della negazione della scissione: la contraddizione è rivoluzionaria, mi veniva da gridare, ma mi sono vergognato. Piccolo borghese stupido stupido che sono. Proprio mentre Fabio Massimo Franceschelli, adorato dal pubblico ma forse profondamente incompreso, gridava di quell’urlo primordiale (ricordi Carlotta?) che è tanto più terribile perché nessuno lo vede, nessuno lo sente. XXX è arte, perché è contraddittorio, grondante di stimoli e provocazioni, ed andrebbe visto almeno tre volte. Una volta per capire che il maggiordomo non è l’assassino. Una volta per capire che il morto non è la vittima. Ed una volta per capire che XXX ce l’ha con me, ed ha ragione a volermene.

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