L’ex dittatore dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, ha perso le elezioni. Mi commuove vedere un Paese in cui la democrazia abbia ancora un senso vero e profondo. Ventidue anni dopo il “Luglio Nero”, in cui il governo di Colombo supportò il massacro di alcune migliaia di tamil, undici anni dopo lo tsunami che uccise 35mila persone, lo Sri Lanka, l’Isola Risplendente, è tornata alla pace, alla crescita economica, e può ora guardare con un minimo di serenità ad un processo di normalizzazione in cui sia il senso di appartenenza e non il desiderio di vendetta a parlare. Certo, i tamil esigono la verità (ed alcune punizioni esemplari) per gli oltre 100mila di loro che sono stati uccisi o le migliaia che ancora non si sa dove siano, ma la stragrande maggioranza della popolazione tamil non ha votato per il movimento indipendentista. No. Ha votato per coloro che a gennaio avevano deposto Rajapaksa. Per uno Sri Lanka unito, in pace. Un cittadino tamil, intervistato da Al Jazeera, diceva ieri: “Dio ci ha portato su questa isola di abbondanza. L’uomo ha cercato di dividere la bellezza in nazioni, le nazioni hanno ucciso e umiliato gli uomini e la natura. Prima di essere tamil sono un uomo, e voglio per me e per i miei figli pace, lavoro, rispetto, e la condivisione per l’amore per la vita”. Meditate, salvinolenti amici dei nazionalismi ottocenteschi. Meditate.
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