Se non li schiacciamo e cancelliamo, purtroppo, i mostri del passato tornano ancora ed ancora a funestare le nostre notti ed a tentare di distruggere le nostre vite. Voglio infatti parlarvi di un eroe, vittima della sua lealtà ed onestà. Speravamo che finalmente, a 72 anni, dopo decenni di umiliazioni e sofferenze, avesse guadagnato il diritto all’oblio. Si tratta di Fausto “Tato” Cattaneo, un ex poliziotto dell’unità speciale antidroga della Polizia Ticinese, che è stato rinviato a giudizio a fine settembre con l’accusa di aver illegalmente privato della libertà un altro poliziotto che, a causa delle accuse di Tato, venne tenuto nel 2003 per otto giorni in custodia cautelare. Come se fosse stato arrestato solo in base ad una dichiarazione di Tato. Una follia che si potrebbe immaginare come possibile solo in Italia, invece no, a cercare di distruggere Tato sono le autorità federali elvetiche. Il mio vecchio amico Gian Trepp è stato il primo ad accorgersene, ma vi assicuro che c’è una schiera di giornalisti di quei tempi lì, che a sentire questa notizia non ha potuto reprimere un brivido. Ma chi tra voi mi legge adesso, ovviamente, questa storia non la conosce o non la ricorda. Nel febbraio del 1987, 28 anni fa, Tato si trovava in Brasile come agente infiltrato nel Cartello dei trafficanti di droga brasiliani. Grazie alle sue comunicazioni, le autorità italiane avevano compiuto tre sequestri, con diversi arresti, tra Genova ed il Ticino. Su questa operazione spettacolare, l’allora procuratore ticinese Dick Marty costruirà una fortunata carriera nel Parlamento Federale e Tato stesso verrà insignito di una medaglia al valore a Washington. Ma di colpo le cose cominciano ad andare per un verso strano. A Lugano Venerio Quadri, l’avvocato difensore dei trafficanti, diventa procuratore e chiude l’inchiesta, che nel frattempo aveva raggiunto politici e banchieri svizzeri di prima grandezza. La sua collega Carla Del Ponte, che stava gestendo il processo Pizza Connection, contro una banda di mafiosi che riciclava i proventi del traffico di droga in Svizzera, riesce a chiudere il processo lasciando andare tutti gli imputati più strettamente connessi al potere elvetico. Ma evidentemente non basta. In Italia vengono arrestate altre persone che, con i fatti, non c’entrano nulla. Il mio amico L. S., per esempio, farà degli anni di prigione senza aver fatto nulla di nulla, alla fine di una serie di processi kafkiani, nei quali i suoi avvocati, l’uno dopo l’altro, si schiereranno dalla parte opposta, lasciandolo solo di fronte alla violenza cieca dei servizi segreti svizzeri e dai potenti che erano stati toccati dall’inchiesta penale. Nel 1992 Carla Del Ponte, in TV, mostra pubblicamente una foto di Tato, menzionandone il nome ed il luogo in cui sta facendo l’agente infiltrato, dicendo che la giustizia elvetica sta analizzando le sue note spese. La vita di Tato, da quel momento, non vale una cicca. Lui, la moglie e la figlia sono costretti ad una fuga avventurosa, senza soldi, per evitare il massacro. A Bellinzona viene compiuto un attentato contro il giornalista Sidney Rotalinti, che si era permesso di difendere Tato. Uno degli imputati eccellenti di quei processi viene trovato morto in casa, nessuna inchiesta in proposito. I giornalisti che iniziano a mettere il naso nelle attività ed amicizie losche di Carla Del Ponte si trovano improvvisamente nei guai. Il giornalista A. M., che scopre alcune irregolarità in un’inchiesta parallela a quella di Tato sulle forniture di armi contro droga per il terrorismo algerino, viene “visitato” all’alba dalla Polizia, che butta lui e la sua fidanzata giù dal balcone del primo piano. Per fortuna non abitavano più in alto. Tato vive nascosto a Locarno, temendo ogni tramonto ed ogni notte, senza soldi – nel frattempo, infatti, è stato sospeso dal servizio. Come lui ci sono altre persone che vivono lì nascoste, nella sua zona. In comune hanno il fatto di essere difese da un giovane e coraggioso avvocato locarnese che si batterà per anni per Tato ed altre persone travolte nel fango delle attività illegali di Carla Del Ponte – testimoni e giornalisti, che ci metteranno tempo, salute e denaro, per vincere i processi contro questa donna, che per un quarto di secolo, nonostante le sue attività di protezione del crimine organizzato (o forse proprio per questo) compirà una carriera giuridica e poi politica e diplomatica incredibile. Nel 1995 l’avvocato in questione ottiene il pensionamento di Tato, che ricomincia a vivere. L’ex poliziotto pubblica un libro, “Deckname Tato”, in cui racconta la sua storia, menzionando i nomi di tutti coloro che lo hanno trascinato in quasi dieci anni d’inferno. Uno degli ufficiali di Polizia Ticinese, quello più colluso con i brasiliani, i servizi segreti italiani e svizzeri deviati che porteranno alla prigione L. S., reagisce con una denuncia per calunnia. Ottiene il risultato opposto: la giustizia ticinese controlla le prove e scopre che Tato ha detto la verità, ed ordina l’arresto del poliziotto che lo aveva denunciato. Ma il procuratore federale Erwin Beyeler, il successore di Carla Del Ponte, prima di lasciare il suo incarico a causa di uno scandalo, rovescia le carte in tavola e chiede il rinvio a giudizio di Tato. Un incubo, per fortuna cancellato dalla prescrizione. Sembra finita, ma Beyeler ottiene la sospensione della prescrizione e nel 2005 riparte alla carica per annientare Tato. Intanto coloro che erano stati investigati da lui in Brasile hanno fatto una grande carriera politica in Italia ed in Svizzera. L’avvocato d’affari ticinese che ne ha coperto le malefatte viene dichiarato incapace di intendere e di volere, specie dopo aver fatto bancarotta ed essere stato coinvolto nelle inchieste sui soldi svizzeri di Saddam Hussein – è necessario mettere zitto anche lui, giacché il figlio sta facendo una grande carriera politica. Nel 2011, dopo aver valutato come assurde le accuse contro Tato, il nuovo procedimento viene archiviato. Il poliziotto nemico di Tato, però, non demorde, ed ottiene una riapertura del caso. Nell’ottobre 2013 viene preparato un atto d’accusa contro Tato che, per fortuna, viene lasciato a riposare negli archivi. Oramai i testimoni di allora sono quasi tutti morti, e gli altri sono comunque troppo vecchi per poter essere puniti con una pena detentiva. Così credevamo tutti. Ed invece la politica e la giustizia svizzera non conoscono il senso dell’opportunità. Questa settimana è iniziato il processo a Tato. Il mio vecchio amico e collega Balz Bruppacher è stato tra i pochissimi ad accorgersene, richiamando all’appello Gian Trepp e poi, l’uno dopo l’altro, tutti noi dinosauri, giornalisti di allora ormai usciti di scena. Oggi non ho più un giornale in cui pubblicare il mio sdegno ed analizzare le cause di questa nefandezza. Ho solo queste righe pubbliche, che servono per lo meno, qualora qualcuno di quei maiali ne avesse voglia, a dare loro la possibilità di trascinarmi in giudizio per calunnia. Va bene anche così. La cosa più importante è che Tato non si senta solo, schiacciato dall’odio criminale di chi continua ad inseguirlo anche a quasi 30 anni da quei fatti. Quando L. S. ha pagato un prezzo ingiusto e disumano per questa faccenda, siamo stati colpevolmente zitti. Forse, invece, ora dobbiamo tornare allo scoperto. Tato caro, io rispondo: presente. Ditemi cosa fare, e lo farò.

Lascia un commento