– Luigi Tenco cantava: “I sogni sono ancora sogni, ma l’avvenire é ormai quasi passato”. Così mi sono sentito, in mezzo a 3mila ragazzi alla Casa del Jazz, al Concerto del Banco del Mutuo Soccorso. Gente che non vedevo da 35 anni, tanti ne sono passati dalla prima volta, a Castel Sant’Angelo – ti ricordi, Daniele? Anche se tu già allora ti eri stufato del Banco, della PFM… La nostra generazione, che non sa come invecchiare, si ritrova su un prato come quello di allora, gli stessi vestiti, persino lo stesso “cioé” e “nella misura in cui”, i visi segnati dalle disillusioni e dalle sconfitte, le stesse canne, oddio anche le collanine, i fermagli di cuoio per i capelli, le magliette con le scritte… più i figli, ed in alcuni casi pure i nipotini, che ad un concerto del genere non c’é il rischio di gazzarre. Ma non c’é spazio per tutti, biglietti esauriti, ressa ai cancelli, grida: “Riprendiamoci la vita”, “Concerto proletario”, “Tremate, le streghe son tornate”. Una tenerezza infinita, uno struggimento, volti coperti di lacrime dove 30 anni fa c’erano sudore e stupore, e poi le note del “Canto nomade”: Io sono nato, nato libero, libero! Non sprecate per me una messa da requiem! 3mila ragazzi cantano in coro, Gegé Di Giacomo tace e sorride, si stringe le mani forte al cuore. Ed io penso: ma cosa succede? Perché nulla di ciò che abbiamo amato è stato veramente sostituito? Vittorio Nocenzi ottiene un minuto di silenzio della folla “contro le vittime dell’integralismo orientalista e quelle dell’integralismo occidentalista”. Gegé canta “3 milioni di anni fa, l’amore”, siamo in tanti ora con il viso rigato di dolorosi ricordi. I più giovani ballano, sembra di essere al Parco Lambro nel 1976. Come é andata, ragazzi? Sono i sogni ancora tali? O siamo invecchiati già al punto di non averne più il coraggio, ma solo la nostalgia. Il bicchiere é mezzo pieno o mezzo vuoto? Ed io, nel crepuscolo dell’estate più triste e dolorosa della mia vita, prima di tornare alla casa vuota in cui mi attende il ronzio lacerante della mia impenetrabile solitudine, penso: Grazie, Dio, o Fato: perché io ho avuto il bicchiere. Non importa quanto pieno. L’ho tenuto in mano per tutta la vita, ed ancora stringo forte. Non siamo ancora morti. Un bacio a chi capisce – e a chi, come Daniele, che mi darà del trombone.

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