– LE INSOPPORTABILI BUGIE SU TOR SAPIENZA. Per costruirmi una mia opinione personale sugli scontri tra italiani ed immigrati che hanno avuto luogo a Tor Sapienza ed in altri quartieri durante lo scorso fine settimana sono andato a visitare il quartiere dei tafferugli. Ho parlato con la gente, con gli operatori sociali, con i vigili urbani, poi sono andato a due manifestazioni pro e contro durante il weekend ed infine sono stato all‘Infernetto. Il quadro che mi sono fatto è completamente diverso da quello mostrato dai giornali e dalla televisione, talmente diverso da essere sconcertante e spaventoso al contempo. Prima questione – i ragazzi allontanati da Tor Sapienza. Ne ho incontrati due in ospedale (sono stati massacrati di botte) e quattro presso il centro di accoglienza dell’Infernetto. Sono ragazzini timidi e spaventatissimi di circa 14/15 anni, parlano quasi soltanto inglese ed arabo, sono stati messi sui barconi dai parenti per le seguenti ragioni: a) sono cristiani e scappano dal fondamentalismo islamico; b) i genitori sono stati ammazzati, arrestati, gravemente mutilati o rapiti negli scontri degli ultimi due anni nel loro Paese; c) sono terrorizzati e vorrebbero tornare a casa, vorrebbero avere notizie delle loro famiglie, cercano di restare insieme, raccontano di continue violenze subite da quando sono a Tor Sapienza – racconti confermati dagli operatori e dalle operatrici che li accompagnavano in un edificio in cui erano in circa 60 e che è stato sfollato dalla canaglia. Nessuno di loro ha mai creato problemi, la maggior parte del tempo passato a Roma lo hanno trascorso nel centro. Non hanno soldi in tasca, non parlano la lingua, e sono convinti che gli abitanti di Tor Sapienza siano terroristi islamici perché si comportano esattamente come quelli e gli assomigliano fisicamente. Seconda questione – i troppi immigrati che delinquono a Tor Sapienza ed in altri quartieri circonvicini. Secondo i Vigili Urbani e secondo i Carabinieri con cui ho parlato, nel corso del 2104 ci sono state circa 30 chiamate per lamentarsi del comportamento dei circa 400 immigrati sistemati in altri due edifici della zona. I motivi sono: a) schiamazzi notturni; b) episodi di violenza tra loro; c) furti di cibo e sigarette nei negozi della zona per un totale stimato, in un anno, di circa 300 Euro. Tra gli immigrati ho incontrato (con mio grandissimo stupore) J. M. e L. T., che conosco personalmente e per motivi professionali da oltre dieci anni. J. è un ingegnere petrolifero che lavorava sulle piattaforme ENI in Nigeria (dove ha perso un occhio in un incidente) e che da lì è passato a lavorare come tecnico saldatore alla Schlumberger, una multinazionale tedesca. Nel 2011 era a Tobruk, in Libia, quando è esplosa la guerra civile. Hanno ammazzato i suoi tre colleghi che, come lui, venivano dal Camerun e per questo venivano apostrofati e cacciati come Francesi. Ha perso tutto, documenti compresi, è arrivato a Lampedusa, da lì è andato a Ravenna, aveva degli amici che lavorano a Fincantieri, ora ha i documenti in ordine e sta aspettando che si liberi un posto che gli è stato promesso per gennaio ai Cantieri Navali Rodriquez. L. invece è un’infermiera della Sierra Leone, che ha fatto gli anni di guerra civile del RUF e la guerra dei diamanti di Charles Taylor e poi, alla chiusura degli ospedali da campo, è rimasta senza lavoro. E’ arrivata in Italia in aereo, ha cercato un posto in un ospedale italiano (parla la lingua) ma non ha trovato nulla. Ora ha i documenti in ordine e sta trattando per un posto in un ospedale di Amburgo, in Germania. Sono andato a pranzo con loro in un locale stupendo vicino alla Stazione Termini, in cui si mangia ancora cibo veramente africano in modo africano. Hanno tre guardaspalle alla porta, perché quelli di Casapound vengono spesso a cercare grane. Sono andato con loro alla manifestazione. Con me c’erano un meccanico del Senegal, la sua fidanzata, un calciatore della Guinea Equatoriale che era stato convinto (e truffato) che qui sarebbe divenuto il nuovo Maradona, un chitarrista del Mali (bravissimo), un meccanico di motociclette somalo e suo cugino, un muratore. Un altro muratore, stavolta sudanese, scappato dalla guerra civile. Un ragazzo Nigeriano che non ha mai detto una parola. Gli altri dicono che non ce la farà, che vuole tornare a casa. Costoro non sono un pericolo per nessuno, tant’è che l’On. Boldrini li ha ricevuti, loro hanno presentato una lettera di richieste, si sono stretti la mano e poi siamo andati a nasconderci in galleria Alberto Sordi perché stava per piovere e la gente scappava via come se fossimo un gruppo di hooligans croati. Terza questione – i campi Rom. Il Comune di Roma percepisce una cifra giornaliera dall’Unione Europea per ogni Rom censito. Sono migliaia, sono organizzati in modo militare, vivono in campi illegali, rubano, stuprano, minacciano, dilagano per tutta la città. I Vigili Urbani non fanno nulla (ne sono terrorizzati), i Carabinieri dicono che è difficile fare qualcosa perché sono organizzati e violenti. La gente del quartiere ne è spaventata o fa affari illegali con loro, ma non protesta contro la loro presenza con la veemenza usata contro i poveri ragazzini nordafricani – perché sono qui da tempo, si conoscono per nome, hanno una fifa matta (giustificabile). Costoro delinquono in modo sistematico. Sono loro ad aver cercato di violentare una autista dell’ATAC, ma vanno in giro impuniti, bruciano i copertoni, fanno ciò che più gli aggrada, sono una sorta di specie protetta, grazie al fatto che il Comune di Roma su di loro ci lucra. Quarta questione – gli abitanti della zona. C’è di tutto, naturalmente. La stragrande maggioranza degli abitanti sono persone qualunque, nel bene e nel male. Al bar mi sento continuamente minacciato, perché la grande quantità di loro che è disoccupata (e sono quelli più violenti ed esagitati, che ora protestano) è in evidente stato di ebbrezza, mi guarda come se fossi cibo, non parla la mia lingua e non condivide nessuna delle regole civili in cui credo. Costoro in realtà se ne fregano degli immigrati. Sono disoccupati ed avevano cercato di occupare il palazzo che era stato assegnato ai 60 ragazzi africani. Li vogliono fuori dai piedi per riprovarci. Dicono “I negri so ttutti cojoni e nun fanno un cazzo tutto er giorno”. Lo sanno bene, questi eroici cittadini di Tor Sapienza, visto che passano la vita al bar. Chiedo loro perché se la prendono con i ragazzini e non con gli zingari, che invece sono un problema vero. Mi rispondono: “Co li zingari famo scambi, anche se arubbano co’lloro se capimo, da noi nun vengheno”. Che poi, magari, non è vero. Ma è vero che gli zingari organizzati terrorizzano il quartiere e nessuno fa qualcosa per arginarli, per difendere la cittadinanza, per evitare che delinquono o per punirli quando lo fanno. Per questo motivo sono estremamente arroganti e invasivi, ti mettono le mani addosso per strada con un ghigno ironico, sanno che qui a Tor Sapienza comandano loro insieme agli scannagrulli truzzi dei bar che sono l loro compagni di merende. Quinta questione – il degrado. Tutti, nessuno escluso, usano i marciapiedi, le strade e soprattutto il verde pubblico per la riproduzione (o per il sesso), per il commercio di roba rubata, come discarica, angolo de defecazione o altre secrezioni pubbliche ed ostentate. Cartacce, gomme, siringhe, frutta marcia, vomito, tutti buttano tutto a terra e si lamentano perché nessuno pulisce. Non c’è nessun vero presidio di ordine pubblico. I Vigili Urbani sono o spaventati o collusi. In ogni caso non fanno nulla e se la battono alla prima difficoltà. La scarsa illuminazione (mi spiegano) è dovuta al fatto che i ragazzetti del quartiere tirano sassi alle lampadine per divertimento (al bar mi spiegano che qui mancano strutture culturali come una discoteca o un centro commerciale o almeno una sala per la tombola, per cui la cultura muore: le zecche non fanno che aprire circoli culturali o teatri del cazzo in cui ci si annoia e non si può fumare). Il Comune di Roma, che sta fallendo, cancella le corse dell’ATAC, il quartiere è raggiungibile solo dal centro storico, mancano collegamenti efficienti con i quartieri contermini – ma del resto nessuno paga il biglietto, perché sarebbe come dare soldi alla casta che affama il Paese, dicono. La soluzione – ce ne sarebbe una pragmatica ed efficiente, che quindi è impossibile. Scacciare tutti i truzzi italiani dal quartiere (e solo loro, non tutte le migliaia di bravissime persone che ne sono vittime), impedire l’occupazione abusiva delle case e trasformare Tor Sapienza in un esperimento di accoglienza internazionale per professionisti che, in poche settimane, ripulirebbe la sporcizia, riparerebbe le cose distrutte, ripianterebbe i giardini e riqualificherebbe la vita economica e culturale della zona. Quello che accadrà, invece, è lasciare il quartiere ad una guerra fratricida tra coatti italiani e zingari, sapendo che i secondi trionferanno e che quindi gli emolumenti dell’Unione Europea al Comune di Roma non sono in pericolo. Dopodiché cancellare tutte le corse ATAC, costruire un muro intorno a Tor Sapienza, attendere, non fare nulla. In ogni caso bisogna andare a votare a marzo. Ignazio Marino non ha nessuna colpa di questa situazione, ma le cose che ha detto e fatto in proposito sono una mistificazione della realtà, un’operazione suicida ed un insulto all’intelligenza, peraltro appoggiato dal giornalismo scandalistico e facilone de “Il Messaggero” e “La Repubblica”, poi ripreso da tutti e trasformato in verità ufficiale. Per ora l’unica conseguenza di questo weekend di passione sono alcuni ragazzini stranieri in ospedale riempiti di botte, tanti cocci per strada, il licenziamento degli operatori sociali e la promessa fatta da Marino ai dipendenti dell’ATAC che lì, la sera, non ci si andrà più.

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