– Orfeo8, negli anni, non ha perso nulla. Un’opera grandiosa. Chi si aspetta un musical tipo Andrew Lloyd Webber resterà deluso, niente americanate. Si tratta di un’opera a metá fra Pasolini e quel coacervo di musiche fin troppo complesse per l’orecchio poco esperto, che sono alla base della storia della musica psichedelica italiana, ma anche della musica della scuola romana dei cantautori degli anni ´70. C’è tanta musica classica, un pizzico di musica etnica, tanta spiaggia di Ostia di 40 anni fa, gli abiti sdruciti di Nando Meniconi, ma anche il preludio di un “Hair” italiano fatto di “povera brava gente” con forte tensione culturale e politica che, nell’opera, diventa una parabola di un amore impossibile, vissuto tra il pubblico ed il provato in un’epoca in cui tutto ciò nemmeno esisteva coscientemente. Orfeo8 è figlio della migliore cultura del ’68, e va messo in fila con Amon Düül e pochissime altre produzioni europee. Loredana Berté, Renato Zero e gli altri sono dei bambini, di cui si vede tanto il borgataro, il Ninetto Davoli, e non ancora il lezioso e consumato animale da palco che verrà poi. Badate bene, nemmeno una lacrimuccia di nostalgia. Il lavoro di Tito Schipa Jr., come quelli di Tony Cucchiara e di pochi altri, non sono commediole (con grande rispetto per Garinei e Giovannini) ma altra cosa, avanguardia culturale, così importante oggi per una cultura progressista che si é persa nel dalemismo putrido e fastidioso, nell’Italia contro rappresentata solo da Checco Zalone e Jovanotti. Ma come diceva Gaber, la vera cultura è segreta ed elitaria, e va bene così.

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