Difficile non commentare. Le riprese televisive che lo mostrano in lacrime mentre il pubblico grida “un capitano, c’è solo un capitano” sono strazianti. Francesco Totti non è solo un calciatore, ma un modo di amare una città. Prima o poi si doveva arrivare alla fine della corsa, lo sappiamo tutti fin dal grave infortunio del 2006, che ne ha condizionato tantissimo la carriera. Sono passati altri dieci anni. Come Alessandro Del Piero, Totti non riesce ad immaginare di smettere. La vita gli ha regalato molto, ed ha guadagnato abbastanza da non doversi mai più preoccupare di nulla, sicché non provo per lui compassione. Ma questi sono momenti commoventi e tristissimi comunque. Spero davvero che ce la faccia. Intendo l’uomo, non il calciatore. Ricordiamo Agostino Di Bartolomei. Con certe passioni bisogna fare attenzione, cercare di capire. La gratitudine da tifoso si accompagna al rispetto per quanto fatto. Ma forse è arrivato il momento di lasciare. Passano le ore e la situazione, paradossalmente, peggiora. Totti non è solo un calciatore, è un simbolo. Ha accompagnato oltre la metà della mia vita e di quella di tanti tifosi, è stato quello che non ha mai accettato di andare altrove, quello sbruffone nelle vittorie e tenerissimo nelle sconfitte, quello inferocito che, con tutti gli arbitri dichiaratamente contro, con la Roma ridotta in 9, faceva due gol da centrocampo contro il Milan per far capire che i fulmini di Dio uccidono sempre. Totti ha guadagnato un sacco di soldi, ma ha riempito milioni di cuori. Chi gli sta intorno, da tempo lo avverte che la campana dell’ultimo giro ha suonato. L’ho visto in campo, quando c’è stato, i ragazzini gli girano intorno e lui fa dei falli di frustrazione, poi fa dei passaggi da fantascienza, perché il suo piede ed il suo cervello sono per sempre. La doppietta contro la Lazio è stata un meraviglioso grido, ancora di più il gol a Manchester, e la sua risposta ai giornalisti inglesi che gli chiedevano: ma come ha fatto a battere in velocità due difensori che hanno la metà dei suoi anni? E lui: ho pensato, Francé, potrebbe essere l’ultima volta. Ebbene, quest’ultima volta è arrivata. Spalletti si comporta da stronzo, ma ha ragione. La società, come sappiamo da anni, è fatta da gente che non sa prendersi nessuna responsabilità: se Spalletti non accetta di farsi mandare affanculo da Maicon e non caccia Totti da Trigoria, allora riprendiamoci Garcia e giochiamo contro la retrocessione con Carpi e Frosinone. Il tempo è passato. Francesco, ti amiamo tutti. Non ti far distruggere. E non fare minchiate come DiBa, non andare al Cittadella o al Crotone. Resta con noi, vieni allo stadio, parla in TV, gioisci per le vittorie ed arrabbiati per le sconfitte. Sei e resti la Roma che abbiamo amato di più, ma se si continua con questo teatro prima o poi cancellerai molto di ciò che di grande hai fatto. Noblesse oblige.

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