Ognuno di voi, ne sono certo, ha sofferto per amore. E guardandosi indietro ha disperatamente cercato di scoprire quale fosse il momento in cui un errore, che allora nemmeno pareva tale, ha cominciato a rovinare tutto. Un esercizio tanto più necessario, perché noi cambiamo, e riscriviamo continuamente il passato, perché abbiamo bisogno di dargli un senso, smussando gli angoli, o creandone dove non ce ne erano. Giorgio Gaber diceva: è come un’equazione algebrica. fai un errorino piccolo, invisibile, ed ecco che le cifre si ingarbugliano, diventano mostruose, illeggibili. La stessa cosa è successa con la storia del nostro povero Paese. E quindi mi arrovello per cercare il momento in cui le cose hanno iniziato ad andare male, e da lì in poi non è più stato possibile far nulla. Mi vengono in mente l’omicidio di Enrico Mattei, la strage della Banca Nazionale dell’Agricoltura, quella della Stazione di Bologna, la strage di Capaci, e penso che no, che sono sulla pista sbagliata. Tragedie terribili, che dimostrarono una frattura insanabile della storia, ma effetti di qualcosa, non cause. Le cause sono un lentissimo mutamento strisciante, non un colpo nel silenzio, e sono quasi impossibili da rintracciare, perché fin dal 1815 la storia ufficiale dell’Italia è stata solo menzogna, propaganda, forzatura, arbitrio. Per questo motivo siamo cresciuti tutti così sospettosi, e convinti di trovarci al centro di una cospirazione. perché la nostra intelligenza ci diceva che le cose non potevano essere andate esattamente come ci veniva raccontato, ma non avevamo (e non abbiamo) nessun appiglio. Beppe Grillo, quando ancora faceva sorridere, disse che sperava che Giulio Andreotti morisse, di modo che fosse stato possibile estrargli la Scatola Nera dalla gobba e finalmente scrivere la vera storia d’Italia. Pier Paolo Pasolini, prima di essere spezzato, aveva detto di più: li so i nomi, li conosciamo tutti. Sappiamo, anche se non abbiamo le prove. Andreotti, Craxi, Moro, Gelli, La Malfa, Saragat, Berlinguer, Togliatti, Almirante, sono tutti morti, e si sono portati il segreto nella tomba. Noi non siamo capaci di ricostruire la verità, ed abbiamo intorno a noi un circo Barnum che si ostina a mischiare ancora di più le carte – non perché segue un disegno di potere, ma perché ha perso non solo la capacità, ma anche l’intenzione di disegnare. Siamo una terra in cui la storia è un giochino a quiz diretto da Bonolis, in cui tutti gli aiutini sono, come direbbe Guzzanti, la seconda che hai detto, ed è sbagliata. L’equazione che abbiamo davanti agli occhi è mostruosa, illeggibile, sbagliata, ed abbiamo perso ogni contatto con le radici. Io non sono nessuno. Ciò che credo di aver capito io rimbomba in una Valle di Josafat che è una babele di persone che parlano tutte contemporaneamente, alcune con l’aiuto di megafoni, e non ci si capisce più nulla. Anzi, il messaggio più recente, quello unanime di Salvini, Grillo e Renzi, dice: non cercate di capire, smettetela di pensare. Appassionatevi e credeteci. Noi siamo la soluzione. A chi mi chiedesse, oggi, di dirgli: cosa è l’Italia? Risponderei: il sogno di tanti ragazzi schiavi nelle monarchie morenti del 19° secolo; il calcolo cinico di chi li governava e degli altri Stati nati dal Congresso di Vienna; la furbizia di uomini di potere infinitamente piccoli e provinciali, da Cavour a Garibaldi, da Giolitti a Mussolini, che cercarono di trovare un’unità dove non c’era, una concordia dove c’erano soprattutto umiliazione e repressione. Da ogni storia d’amore che nasce nella bugia e nella violenza, viene solo dolore, e poi solitudine. Ecco. se mi chiedeste cosa penso dell’Italia, vi direi: la meravigliosa, disperata terra della completa solitudine, e dell’umiliazione della passione e dell’ingegno. Con buona pace di donne e uomini che ho conosciuto personalmente, e che erano eroi segreti, perché facevano il loro dovere, non solo eseguendo ordini, ma seguendo un disegno, avendo una prospettiva. I nomi li sappiamo, li sappiamo tutti, anche se non ne abbiamo le prove. Dino Buzzati si sbagliava. I tartari siamo noi. Siamo arrivati alla Fortezza Bastiani, e stiamo per morire. Soli. Ed allora torna il grido di Giorgio Gaber, più forte che mai: io, come donna o uomo, ci sono. Ci sono ancora. Come in Fahrenheit 451, ritiriamoci nella foresta, ed impariamo a memoria i libri che verranno distrutti, la memoria umiliata da chi ci governa. In questi momenti di dolore sale un grido che copre Renzi, Grillo, Salvini, D’Alema, Prodi, Amato… pagherete caro, pagherete tutto. pagheremo caro, pagheremo tutto.

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