Nella vita ho sempre pensato che ci fosse una regola fondamentale da rispettare SEMPRE. Dunque: le nostre vite sono come “ciottoli sconosciuti”, una frase di una persona cui ho voluto da sempre un bene enorme, anche se il mio affetto è stato incapace, geloso e dannoso. Questi ciottoli sono lanciati dal destino e dalle nostre fragilità e cadono a casaccio. Ebbene, mi sono promesso, un milione di anni fa, che il ciottolo ME sarebbe sempre caduto in un luogo GIUSTO, visibile e riconoscibile, sulla cima del cumulo dei detriti di un Pianeta alieno, nel mezzo del deserto pieno di consimili, ma dove il primo sole dell’aurora debba necessariamente andare a cadere su di ME per creare il primo riflesso della vita che torna. Poi è arrivata M., e per sei anni non ha fatto che ripetermi che il prezzo che pago, per questa che lei chiama misoginia da ipossia affettiva, sia troppo alto. Che ci voglia banalità, lentezza, riposo. Nessuno quanto te ha scelto di non esistere, ufficialmente, ma con tanta pompa magna, dice M. Smettila, e sarai più sereno. Sii più geloso delle tue fragilità. Siccome storco il naso, a volte accompagna queste frasi con un gesto: un cazzotto o un pizzone… che donna. Una tesi interessante, la sua, esattamente il contrario di quanto credevo fosse giusto. Poi, stanotte, mi sono svegliato per un incubo, ho leggiucchiato su Facebook, ed ho visto delle foto di parties di persone cui voglio bene. Intorno a loro esattamente le facce che spero non verranno MAI fotografate con me dentro. De André, quando disse che ci sia amore un po’ per tutti, e che ciascuno abbia un amore sulla cattiva strada, magari diceva persino qualcosa di vero. La verità è che, finché non si entra nell’età della misoginia da ipossia affettiva, siamo circondati da quelle facce stolide, che in Italia, con un termine terribile e demoniaco, vengono raggruppate in mandrie dette “comitive”, costruite negli anni della scuola, ciottoli da discarica o cantiere abbandonato. Gente con cui non si vorrebbe mai avere a che fare, ma verso le quali sviluppiamo un forte senso di colpa, e di cui abbiamo bisogno, perché costituiscono la Corte dei Miracoli necessaria per contenerci, per farci credere che la nostra attuale compagna sia quella giusta, che ciò che facciamo sia sensato, che noi si appartenga a qualcosa di (fortunatamente) indefinito, antiestetico, deprimente, nato morto. Gente che cerca di incatenarci ad un posto, ad un “amore”, ad un sistema coercitivo di paure. Faber, di amore ce n’è poco, ma c’è tanta confusione, e la cattiva strada siamo noi, che ci circondiamo di valvassini, clowns, maschere tristi e cocottes, perché la vita dei nostri aneliti ci fa paura – come a M., appunto. La quale, infatti, ha amiche ed amici di cui, sostanzialmente, si vergogna, e che frequenta solo in compagnia del marito. Mentre scrivo sento il sudore freddo dell’orrore scendermi lungo la spina dorsale. Per fortuna, con il tempo, scopro di avere molti buoni complici, persone dalla doppia vita, iperbolici, bipolari, segretamente speciali. Gente che non organizza feste in discoteca in cui spera che la massa di detriti (ciottoli) raccolti a casaccio nel cosmo sostituisca il vuoto di un universo in cui la solitudine sia la punizione per l’essere inutili e fifoni. Anche se M. dice che il vero fifone sono io. Boh. Come al solito, tante parole per una cosa semplice. Ordunque, ieri ho firmato un atto ufficiale che mi porta a vivere sotto un sasso, dove non osano nemmeno le formiche. Un appartamento molto bello, dove nessuno verrebbe mai a cercarmi e nessuno crederebbe che io possa esistere. Ho imparato, grazie alle mie frequentazioni con il crimine organizzato, che ci si nasconde non in un eremo in Groenlandia, ma in un quartiere popolare di una cittadina, in mezzo a tutti. L’ho fatto. Vediamo come andrà. Dopo aver passato sei anni di fila in un posto “figo”, credo stia riprendendo la mia vita da zingaro. Siempre adelante.

Lascia un commento