Oggi non festeggio proprio nulla. Perché nel mondo che ho nel cuore ogni maschio ha capito la parte di donna che ha in sé e non si è limitato a farci pace, come se si trattasse di un avversario, ma ad amarla come si dovrebbe amare una madre, con la gratitudine per chi ti ha dato la vita. Da vecchio brontolone, dirigo una piccola azienda in cui lavorano solo donne. Da noi inserire le quote sarebbe impossibile, perché in 15 anni ho incontrato un solo maschio che fosse capace di fare il mio lavoro ed è stato un campione mondiale di slealtà. La donna non è altro da me, ma è ciò che mi manca di me stesso. Tutte le volte che, per pigrizia ed abitudine, o per meschina cattiveria, ho mancato di dare ad una donna questa sensazione di imprescindibilità reciproca, mi sono comportato da merda ed ho contribuito a questa cerimonia commerciale dell’8 marzo. Chiunque creda di dover “proteggere”, “guidare”, “correggere”, “contenere” una donna, è un prevaricatore che non sa voler bene a nessuno. Una donna, per come la vedo, è un oceano di emozioni ed intuizioni, di alti e bassi, un turbine di una galassia forgiata nel fuoco e raffreddata nel dolore. Se non mi battessi per essere alla pari, spesso mi sentirei inferiore. Qualcuno mi scriveva stamani che “anche tra le donne ci sono le stronze”. Certo. Come anche tra i ciclisti, i panettieri, i medici e gli amministratori circoscrizionali. La stronzaggine non conosce limiti di genere, ed io stesso ne vengo sovente colpito. Ma la Festa della Donna è, in sé, il segno di una malattia sociale, lontanissima dall’essere debellata. Non si sa se sia giusto o ingiusto aderirvi. Siccome questa settimana sto malissimo, non aderisco. Ci sono donne importanti che sento tutti i giorni. Se loro non sanno cosa penso di loro, allora vuol dire che sono un citrullo fatto e finito. Agli altri (ed altre) buon 8 marzo, e buon pro vi faccia.

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