“Nell’ora violetta” di Sergio Del Molino bisogna leggerlo preparati, o non ce la si può fare. In Spagna è uscito nel 2013, da noi quest’anno, edito da Sellerio. Non so nemmeno se definirlo un libro, o il resoconto di un dolore talmente terribile da non poter essere spiegato. Colpisce subito: se un uomo o una donna perdono il compagno, sono vedovi. Se si perdono i genitori, si è orfani. Ma se si perde il proprio figlio, non si è nulla. Non esiste nemmeno una parola, per questo orrore. Il libro parla dell’agonia di Pablo, ammalatosi di leucemia a dieci mesi, il figlio dell’autore. Lo strazio è talmente immenso e dettagliato da avermi costretto a vomitare per la compassione, immaginando la situazione e pregando il Signore che non mi costringa mai ad un’esperienza simile. Non ha nulla a che vedere con la letteratura, nemmeno con la psicanalisi. Il libro non offre ricette mistiche, anzi, non offre nessuna soluzione. Non è deprimente, è agghiacciante. I medici e gli infermieri non fanno brutte figure, al contrario si vede che fanno ciò che possono, con professionalità ed empatia. Ma in un mondo di miliardi di libri, che io sappia, questo testo è unico. Non è un capolavoro, è un cazzotto nello stomaco, senza trucchi, senza leziosità. Era necessario, credo.
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