Dirò cose banali. Da ragazzo la vita era un’arrampicata, l’attenzione mi impediva di guardare ai lati della strada. Quando nacque mia figlia Valentina, per la prima volta mi accorsi che ci fossero strade parallele di cui avrei dovuto occuparmi come se fossero state le mie, con la stessa intensità. Con mia figlia è stato difficile e non sono stato capace di fare il necessario senza errori, scatti stupidi di collera, insofferenza. Le mie giustificazioni le tengo per me, perché sono ed erano irrilevanti. Ma Valentina è sempre stata lì a spiegarmi, in silenzio, il motivo per cui sia proibito considerarsi soli. Pian pianino ho imparato. Altri figli hanno avuto da me più di quanto abbia avuto lei. Non sono riuscito a spezzare il karma della mia gens. A quei tempi, guardando ai cosiddetti adulti, mi sembrava che avessero tutto facile. Un’esistenza professionale garantita, rapporti insondabili e titanici, guerre insindacabili, divise tra assolutamente buoni ed assolutamente cattivi. Sorridevo alla loro mancanza di energia, perché il mio corpo mi dava possibilità senza fine, ed il futuro era un Castello nel cielo, parzialmente coperto dalle nuvole. Non si vedeva la strada che ci va, ma si vedevano le torri ed i fasti. E quando, dal mondo degli adulti, veniva un aiuto inatteso, mi stupivo ed ero pieno di gratitudine – non avevo tanto da offrire in cambio, in effetti. Ma credevo che tutto (per loro) fosse più facile che per me. Tanta strada percorsa, tantissima, strade città vite consumate ed in parte dimenticate, via di corsa, una corsa folle e sbornie di allegria triste, piena di paure… Ora la vita è in discesa, un piano inclinato che inizia a portarsi via le persone che, correndo accanto, erano divenuti compagni di strada. Non la famiglia, ma i punti di riferimento per percepire a quale punto della strada mi trovassi. Grazie a loro, ho scoperto che avevo mal valutato persone e situazioni – ed ho scoperto altri compagni di strada, che prima non vedevo, non potevo e non volevo vedere, ed ora diventano così importanti – condividono i miei ricordi, sanno chi fossi e chi eravamo. Più cresce la consapevolezza, più il piano si inclina, più aumenta la velocità dello scivolo. Nel Castello, poi, ci sono stato. Bello, non c’è che dire, ma come diceva Gaber “era soltanto una tua immagine, una bella intenzione”. Valeva il viaggio, ma non era il posto mio. “C’è solo la strada, su cui puoi tornare, la strada è l’unica salvezza”. E mi trovo ad aiutare, se posso e se mi va, giovani che si arrampicano. Pensando alla Canzone per Piero di Guccini: “chi glielo dice a chi è giovane adesso, di quante volte si possa sbagliare, fino al disgusto di ricominciare, perché ogni volta alla fine è lo stesso”. Tutto questo è lezioso. La famiglia è altra cosa: anche persone che si trovano ad un punto diverso della strada e che devono ancora scoprire, con i loro occhi, ciò che credo di aver visto – perché forse lo vedranno ed affronteranno in modo diverso, e mi dimostreranno che avevano ragione loro. Che siano più bravi non mi disturba, mi rinfranca e mi regala fiducia. E scivolo, scivolo via, scivolo senza avere appigli, rotolo sul piano inclinato. Tra poco il Castello sarà un ricordo; e l’idea di arrampicarsi, prima così normale, un sogno. Chissà se è accaduto davvero. Il fantasma di B mi guarda, la fronte aggrottata, piena di paura, e mi aiuta. Devo essere forte anche per lei, per loro. So bene che anche voi sappiate esattamente di cosa parlo, perché è anche il quotidiano di molti di voi. E si sorride, alla vita ed al suo contrario, perché dobbiamo dare fiducia ai bambini, in primis quelli nascosti dentro di noi. Alles wird gut. Tutto andrà bene. Quando qualcuno, dalle strade parallele, come ieri cade e non c’è più, bisogna tornare bimbi, e guardare dritto, davanti a sé. Sempre sorridere. Diceva bene mamma: la morte non esiste. Quando lei c’è, non ci sei già più.
Lascia un commento