Ho dormito molte ore, stavolta ero completamente sfinito, ma è arrivato il momento di ragionare su ciò che è accaduto ieri sera. Emanuele Cannatella, Leonardo Marcucci, Michelangelo Biagiotti, Matteo Marchi ed io abbiamo suonato un concerto appassionato ed in certi momenti brillante. Ma per la prima volta, di fronte a noi, non c’erano solo sconosciuti ed amici fraterni (di cui parlerò dopo), ma persone del mestiere come Riccardo Rozzera, Carlotta Piraino, Dario Aggioli, Fabrizio Bordignon, Diana Cagnizzi e Adelaide Mochi, che hanno guardato lo spettacolo – naturalmente – con altri occhi. Ascoltando i loro commenti mi sono reso conto del fatto che siamo arrivati ad un punto cruciale: siamo bravissimi per la serie in cui giochiamo, ma dobbiamo decidere se tentare il salto di categoria o no. Questa cosa, ve lo confesso, mi fa una paura terribile. Ho vissuto sempre, come mi ha insegnato mio papà, Marcello Fusi, facendo una gara dopo l’altra, ma non mi sono mai sentito parte di un campionato. E comunque, anche nella mia risibile esperienza da atleta, mi è sempre piaciuto vincere una gara o una partita, ma programmare una stagione mi stramazza al solo pensiero – anche perché poi, nella vita, ho fatto altro. Ma adesso non so che fare. I Lupi della Maremma, che mi accompagnano e guidano (amorevolmente) sul palco, giustamente scalpitano. Loro questo dilemma non l’hanno mai avuto. La loro cifra stilistica e competenza tecnica e passionale è strettamente legata al fatto che loro vivano di musica, vivano con la musica, vivano per la musica. L’unica cosa che ho aggiunto alla loro vita è questo briciolo di esperienza attoriale che inseriamo nello spettacolo, e che all’inizio schifavano, ma nel frattempo hanno imparato ad apprezzare – ed Emanuele, oramai, conta nella scrittura del nostro prossimo lavoro quanto me. Leonardo, in aggiunta, è colui che con grande attenzione aggiunge questioni politiche da trattare e ricerca puntigliosamente punti di vista alternativi. Loro vogliono di più, ed hanno ragione. Ma io mi sento un topolino, mi sento obeso, vecchio, stanco (ufficialmente), ma in realtà sono spaventato. In questo limbo non sono solo. Amici carissimi come Guido Silipo, Andrea Dellepiane, Marcello De Dominicis, Simone Sabatino, Gianfranco Piccaro ed Alessandro Orlandi, nuotano da anni nello stesso mare in cui nuoto io. Troppo bravi per essere definiti amatori della domenica, ma mai abbastanza “dentro” per poter osare il professionismo, sia perché fanno altro, sia perché, forse, come me, ritengono di avere qualche limite nelle loro capacità – che non sono tanto e solo tecniche (basta vedere come suonano Alessandro, Guido e Simone), ma d’altra natura, magari psicologiche. Alessandro, a mio parere, non solo è un grande musicista, ma anche un grande compositore, che ha scritto canzoni bellissime che potete ascoltare su youtube in qualità efferata – e suona lui quasi tutti gli strumenti, oltre a scrivere l’arrangiamento. No no, la barriera è altrove. E cozzare contro la barriera, come facciamo noi, costa soldi e frustrazione, ma si tratta di cose che conosciamo, le ripetiamo anche se fanno male, perché ci siamo abituati ed in fondo altrimenti staremmo peggio. Ieri sera c’era uno spaccato emozionante della mia vita. Augusto Papini è uno dei fratelli grandi che mio papà accostò a noi quando eravamo bambini. Andrea, Guido, Marco Miglionico, Daniela Passalacqua, Riccardo Palmucci erano i miei compagni di scuola, Paola Panunzi la prima grande storia d’amore. Vladimir Spirito, del cui giudizio ero terrorizzato, è una delle persone più intelligenti e preparate che abbia mai incontrate, e viene dal mio periodo sudtirolese. Vittorio Coronati e Carlo De Pirro sono parte della mia vita da prima che imparassi a camminare. Cesare e Marina Greco, Stefano Covello, Claudio Chioccarello, amici di un agone politico che non ho mai dimenticato e spesso rimpianto, ma la cui amicizia è uscita rafforzata dalle comuni delusioni. E poi c’erano gli affetti più cari nati dopo il mio ritorno a Roma, che per pudore non elenco, ma tanto li conoscete tutti, che le “cose mie” le sanno anche i netturbini che passano la mattina alle sei a rimettere in ordine l’androne del mio palazzo. A partire dall’innumerevole stirpe dei Petrecca, che è l’ultima ed estrema progenie dell’epopea orgogliosa dei Rutuli, popolo invitto a cavallo tra Lazio e Molise, che mi ha inglobato come se ci fossi nato dentro e che mi copre di affetto ed insultini accattivanti, c’erano Stanislao Fiorillo, Barbara, Eleonora, etc etc etc. E per la prima volta c’erano persone emozionanti come Antonio Martines e Simone Coccia, Giancarlo Bufacchi e tanti altri, che sono venuti perché leggono le mie carabattole sul blog. E certamente sto dimenticando qualcuno che ci resterà male, maledizione. Ora sono arrivato al punto in cui posso offrirvi qualcosa che abbia un senso, una prospettiva ed una profondità. Devo decidere cosa farne. Se non esisteste voi, ve lo dico subito, smetterei qui. Ieri sera ha appagato le mie paure, il mio narcisismo, la mia disperazione intellettuale e la mia voglia infantile di esserci ed appartenere. Devo diventare grande e smettere di essere grosso. Devo fare qualcosa di me, adesso che son grande. Vediamo. Vi bacio con un affetto grande come la fortuna che mi ha accompagnato (come voi) durante tutta la vita. Mi avete fatto un dono come pochi ricevono. Mi sa che mi tocca ricambiare.

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