– Ieri sera sono andato a sentire Mira Awad al Teatro Valle. La popstar palestinese è un simbolo di integrazione all’interno della scena culturale israeliana. Nata da genitori bulgari e palestinesi, era stata in Italia per un periodo una decina di anni fa per un periodo (una sua canzone in italiano era veramente sorprendente), poi è divenuta in patria una star, specie dopo aver rappresentato Israele al Grand Prix dell’Eurovisione nel 2009 a Mosca in coppia con la cantante Noa. Ancora una volta funziona il “sistema Teatro Valle”: offrire al pubblico di Roma uno spettacolo di altissimo livello internazionale grazie alla rete di rapporti umani ed artistici. Ed il risultato è stato – a mio parere – straordinario. (youtube.com/watch?v=0cRUEIl3Oqo). Mira Awad è venuta da sola da Gerusalemme, ha provato per una giornata con un batterista ed un chitarrista romano, dopodiché ha dato un concerto che di pop non aveva più nulla, ma piuttosto di un’intensa serata di folk (inteso come complimento), grazie alla quale, dietro la splendida voce dell’artista si sono potute osservare cose che, magari, nella perfezione plastificata del pop, altrimenti sarebbero andate perdute. Innanzi tutto lei, Mira Awad. Riesce ad essere donna sul palco, non sciacquetta. Hai sempre l’esatta impressione di avere di fronte a te un adulto che canta di passione, ma con consapevolezza, non leggendo le parole scritte su un bacio perugina. La canzone in cui lei accompagna lui nella notte, un viaggio che lei vorrebbe non finisse, per poi scoprire che lui andava a trovare un’altra donna, non ha la malinconia patetica che ci si attenderebbe, ma una tensione di affetto, comprensione, accettazione dell’amore al di là degli schemi triti che conosciamo. Anche in Bukra (Domani), che potrebbe essere un’americanata sulle prospettive del futuro (ed in effetti un po’ placativa lo è), si vede un’adesione non patologica ma sincera, tranquilla, senza ghirigori. Mira Awad è sempre artista (e controllata), è sempre presente (ma con distacco), non ti insegue, ma nemmeno pretende di essere inseguita. Calma, serenità, professionalità, grande forza compositiva, pace. La seconda cosa che mi ha colpito è il “saltafosso” riuscito di avere un mix fra melodia occidentale e araba, saldamente ancorata al folk dell’Est europeo, che alla fine risulta essere una miscela originale ed assolutamente sua, compiuta. Per questo Mira Awad convince anche da sola, con un tamburo in mano, senza gridare come una di quelle donne che piangono a pagamento ai funerali altrui, senza sforzarsi come una ragazzina che vuol far credere nel suo amore perduto. Ed alla fine se ne è andata in punta di piedi. Di donne simili ha bisogno il mondo. Di esempi di donne simili ha bisogno l’Italia. Un ultimo appunto sul Teatro Valle. Prima del concerto uno dei ragazzi ha parlato della stanchezza, che a volte li assale. Più che comprensibile. Eppure adesso, se hanno degli artisti internazionali come ieri, il sistema di pubblicizzazione degli eventi deve cambiare, Roma non lo sapeva, ieri, cosa avesse perso. Bisogna trovare il modo di passare ad una pubblicizzazione più professionale, possibilmente senza perdere questa aura di “cosa organizzata con gli amici quasi per caso” che vuole essere il marchio di fabbrica del collettivo. Certo, è unico il fatto che si vada al Valle senza sapere di cosa si tratta e poi restare talmente sorpresi in senso piacevole. Ma magari, sapendolo prima, uno potrebbe portarsi qualche amico in più.

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