Il giornalismo non è mai stato in grado di dire la “verità”. Questo non è dovuto al fatto che i giornalisti, comunque, sono inetti o scorretti. Ma i giornalisti devono cercare la “verità” parlando con persone che a volte mentono, a volte ricordano male, spesso interpretano. Con autorità gestite da forze con interessi apertamente contrari alla “verità”, con giornali posseduti da persone inserite in quelle autorità, nei circoli con forti interessi politici, economici, religiosi, a volte persino associativi e consociativi. A ciò si aggiunge il fatto che i giornalisti siano esseri umani, e quindi sbagliano per caso, per dolo, per inettitudine, per interesse, per opportunismo, per manipolazione, per costrizione. Peggio ancora: la scelta della priorità delle notizie costruisce l’immagine (ed il grado di consapevolezza) di un Paese e del mondo, e questa priorità viene costruita in base ai fini di chi gestisce i giornali ed ancor di più di chi gestisce coloro che gestiscono dei giornali. Se leggete i quotidiani in Svizzera, dopo una settimana avete l’impressione che l’intera popolazione sia in letargo – non accade nulla. Se leggete i quotidiani italiani, avete l’impressione che tutto accada in Italia o (a volte) negli Stati Uniti, che la Russia e la Cina siano grandi come Urbino e popolati da alieni malvagi ma per fortuna lontanissimi da noi e che Africa ed Asia siano cinema, e non realtà – e quindi gli immigrati maleducati che non si capisce cosa vogliano, che di bruti e coatti ne abbiamo abbastanza tra i nostri. Se leggete i quotidiani austriaci avete l’impressione che nel mondo intero non accada nulla, e che se accade, certo non è importante come le storie di sesso di personaggi che al di fuori di Vienna (e spesso anche lì) nessuno sentirà mai nominare. Tutto questo l’ho sempre saputo, i pochi giornalisti che si battono davvero sanno benissimo che non possono presumere la “verità”, ma battersi per la credibilità, e quindi instillare il dubbio. Difatti prodotti come “Libero”, “Il Giornale”, “Il Fatto Quotidiano”, “Il Foglio”, “Porta a Porta” e decine di altri talk-show televisivi che non vedo e quindi per me non hanno nome, ma solo odore, sono più che altro intrattenimento, volantini di propaganda e non hanno nulla a che spartire con il giornalismo. Va bene anche questo. Ciò che mi intristisce di più è che il commento, non importa se fondato, abbia sostituito la notizia. E che ai giovani nessuno insegni più ad essere precisi, a capire il contesto prima di scrivere, a dubitare, a ragionare su come aggirare una bugia, a scoprire un errore o un dato che nessun magistrato o avvocato ti ha bisbigliato in un orecchio, e poi a scrivere spiegando un fatto e senza prendere troppe querele. Il giornalismo muore per una volontà politica ed imprenditoriale, ma anche perché la categoria ha accettato di commettere un suicidio collettivo, senza trasmettere il know-how a coloro che verranno dopo di noi.

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