– “Ghana must go” è una scritta su delle brutte buste di plastica a quadri. Le buste che i Nigeriani davano ai Ghanesi ricacciati a casa. Ma di cosa sto parlando, che noi non capiamo nulla di tutto questo? Cosa è l’Africa, che noi consideriamo una cosa unica, come la Provincia di Macerata, ed invece è una galassia di stelle costrette a stare vicine e che sono lontane come il campanilismo nostro centinaia di anni fa? Taiye Selasi ha scritto un libro chiamato “Ghana must go”, pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo di “La bellezza delle cose fragili”. Un capolavoro, un libro doloroso e stupendo, che racconta con naturalezza cosa voglia dire essere originari di una non-famiglia in un non-posto, da cui gli uomini non fanno che scappare o restare armati, gelidi come un coltello piantato nella carne. Conoscete la mia forte dedizione al patetico, ed in questo libro tutti piangono molto. Piangono, perché il libro racconta di una mamma Nigeriana e dei suoi figli Americani/Ghanesi che, in qualche modo, si ritrovano ad Accra per portare l’estremo saluto al padre ed ex marito, anche lui fuggito, anche lui abbandonato. Ci sono però pagine di saggezza intollerabile, come questa: “l’unico scopo di una relazione è quello di inscenare, in miniatura, tutto lo stramaledetto dramma della vita e della morte (…) E poi, un giorno, l’amore si raffredda (…) in questo modo l’uomo impara che la morte è la realtà”. Non si tratta di una frase triste o pessimistica, non commettete lo stesso sbaglio dei senza cuore che analizzano erroneamente qualcosa che assomiglia tantissimo all’Epos leopardiano: “quando ci si trova davanti a qualcosa di fragile e perfetto in un mondo che è brutto, terribile e crudele, conviene non dare nomi”. Kweku muore d’infarto. Potrebbe impedirlo, ma non lo fa, e muore. La sua famiglia disgregata ed esplosa per tutto il mondo si sente costretta ad incontrarsi ed andare insieme ad Accra. E mi insegna cose che sapevo sul dolore di essere nato in Africa, l’orgogliosa terra dell’umiliazione perpetua. Abbiamo paura del vero amore, quello intimo e compartecipe, quello che significa accettazione, e passiamo la vita a sfuggirlo spaventato o a metterlo in scena con formalità, ignoranza, aggressività, volgarità ed egoismo. Poi la persona che teneva tutto insieme, e che scappando aveva fatto esplodere l’amore, muore. La sua morte salva tutte le persone che lui aveva amato senza essere capace a farlo. Se mi mancava un consiglio diretto, ora l’ho avuto, ma tanto so bene che sono troppo vigliacco e narciso per metterlo in pratica alla svelta. Buon appetito.

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