La morte dell’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl chiude definitivamente un’epoca, per esplorare le cui verità ci vorranno probabilmente almeno altri cento anni. Cerco di elencare alcuni dati forse non conosciuti in Italia che servono a chiarire meglio l’importanza del personaggio. Come tutti i bimbi della sua generazione (era nato nel 1930) è stato educato durante il nazismo, suo fratello cadde soldato in guerra, lui stesso, ancora giovanissimo, venne impiegato come pompiere. Essendo di Ludwigshafen, è cresciuto nell’ombra dell’industria IG Farben (e poi, dopo la guerra, in BASF), che è alla base dell’idea – che venne poi fatta propria dal nazismo – che la grandezza della Germania si misurasse con la sua superiorità nei trasporti e nell’industria chimica. Dopo aver studiato al Max Planck (appunto), giovanissimo, è diventato segretario generale dell’associazione degli industriali della chimica, e da lì ha iniziato la sua scalata politica nella CDU, diventando Presidente della Renania a soli 39 anni, per poi diventare il candidato alla Cancelleria Federale, sconfitto per un pelo nel 1976, ma poi vittorioso per 16 anni di fila, dal 1982 al 1998. In quella posizione è stato alla guida del governo negli anni dell’unificazione tra Germania Ovest e Germania Est, e subito dopo è inciampato su un enorme scandalo di corruzione, per il quale non ha mai pagato nessuno, perché i testimoni chiave morirono in circostanze mai chiarite, oppure (come lo stesso Kohl) accettarono una pena minima per essersi rifiutati di testimoniare. Kohl può essere facilmente paragonato a Giulio Andreotti, anche se, al contrario del suo omologo italiano, la vita privata di Kohl non è mai stata estremamente trasparente, non da ultimo per il suicidio commesso dalla moglie Hannelore nel 2001. Da anni oramai aveva perduto la salute e qualsivoglia influenza, e quel poco che so in più è coperto da una firma che apposi anni fa su un documento che mi impegnava a non rendere pubblico il suo ruolo nell’armonizzazione tra le due Germanie e, prima di allora, nella ricostruzione dell’esercito tedesco e nella sua ammissione ad operazioni militari internazionali (fatto che, in principio, era proibito dall’armistizio del 1945). In una sola frase, magari sibillina per la maggior parte di voi, Helmut Kohl è stato colui che è riuscito a far sopravvivere un’idea arcaica, mistica ed escatologica della Germania come nazione destinata a guidare il mondo, garantendo l’impunità ai nazisti che si erano riconvertiti nell’era dello Stato Federale democratico, e resistendo contro qualunque cambiamento strutturale, sino a portare gravissime responsabilità nella gestione del rapimento di Hans-Martin Schleyer (un ex ufficiale delle SS che dopo la guerra, attraverso la Daimler Benz, divenne presidente della BDA – la Confindustria tedesca – e finì ammazzato dalle RAF nel 1977, in un’azione su cui non si saprà forse mai la verità e che coincise con il massacro, da parte di ignoti, dei dirigenti dell’organizzazione terroristica che erano in galera (la banda Baader Meinhof). Insomma, con Kohl muore l’ultimo legale con i misteri del post-nazismo. Il futuro ci dirà se sia un bene o un male che, con lui, scompaia tanta verità.

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