– Stasera una piccola crisi, causata da una telefonata con Carlotta. L’ho chiamata perché mi mancava la sua voce dopo tanti mesi di lavoro insieme, e per spiegarle i miei pensieri sul futuro. Ma Carlotta non solo mi conosce bene, ma è anche una persona di una sensibilità speciale e quindi – con le sue domande – mi mostra che di chiaro, nella mia testa, c’è solo un’enorme confusione… Sicché, quando riattacco, mi sembra che il mondo mi stia crollando addosso. E’ interessante vedere cosa succeda se non ho a disposizione nessun modo di mangiare a sproposito. Dopo dieci minuti mi gira la testa e mi viene da piangere, ma poi non mi riesce di sfogarmi. Mi viene rabbia, ansia, temo di sfiorare una crisi di panico, quindi metto i polsi nell’acqua calda ed aspetto. Alzo il viso, mi vedo allo specchio e mi coglie il ridicolo della situazione, della mia paranoia, del mio corpo nudo e tremante per una sciocchezza del genere. Mah. In quel momento la crisi si spegne come se non ci fosse mai stata. E si torna al quotidiano: aggirando le misure contro il nonnismo messe in campo da Lurch, oggi c’è stata la caccia alla recluta. Erano ovunque, nascoste in tutte le stanze per i trattamenti, nemmeno nascoste, non si poteva evitare di vederle. Il circolo delle gianduiotte si è accresciuto di una nuova straordinaria apparizione, che si è guadagnata subito il nome di Diabbolik (mi raccomando le due bb). Una gentile signora di almeno 70 anni con degli occhiali da Diabbolik ed una tuta mimetica da Sandokan quando mima l’allunaggio. Accanto a lei l’avvocatessa delle vedovelle piemontesi sfoggiava due zattere rosse e gialle già usate da Medici senza Frontiere per salvare gli affogandi durante il terremoto di Haiti o che paiono residuati della Guerra del Vietnam. Collocata su quelle zattere faceva bella mostra di un pantalone aderentissimo color rosso sangennaro con gli sbrilluccichini che inviavano via radio il messaggio subliminale “spogliami, dai spogliami”, e su questa mise portava una maglia blu becchino con ampi spacchi collocati strategicamente nei punti in cui l’eventuale spogliatore avrebbe dovuto attaccare con unghie e denti. Mi ha fatto davvero molta paura mentre mangiavo uno splendido piatto di angoscia tiepida di pomodori pelati conditi con tre fagiolini fuggiaschi. Diabbolik ha portato nuovi straordinari argomenti di dibattito al tavolo con le megere e la fattucchiera napoletana, come ad esempio: a) perché l’umanità farebbe senza sforzo a meno dei bambini; b) perché Napoli è la città più onesta d’Italia (perché truffa con grazia, è la risposta); c) perché fumare fa bene all’udito (asciuga la mucosa dell’orecchio brutalmente strapazzata dai bastoncini d’ovatta); d) perché rifiuto tutti gli uomini che mi fanno la corte – e su questa cosa non dico nulla, perché credo che la signora Diabbolik, anche 50 anni fa, fosse “diversamente bella”. Nel frattempo ho convinto il Comandante Marko a portarmi la marijuana per il nasiluvio. Domani grande botta di vita, dunque! Ma io sto ciullando nel manico. Oggi vorrete sapere la verità sul quarto piano dell’Hotel nel quale sto facendo questa cura. Come detto, per arrivarci esiste una rampa di scale apparentemente uguale a quella che porta agli altri piani. In cima alla rampa un pianerottolo senza luce e, invece del corridoio che sta sugli altri piani c’è una porta socchiusa, che da su una stanza vuota, anch’essa senza luce. Cerco un interruttore, ma non lo trovo, sicché lascio la porta aperta alle mie spalle per vedere un minimo. Questa stanza ha altre quattro porte. Una chiusa a chiave. Una che apre su un magazzino di materiale di scarto: lampade, materassi, cuscini, due sedie, un tavolino con una gamba spezzata, alcune confezioni di carta igienica ancora imballati. La terza è chiusa a chiave. La quarta si apre su una sala grande, molto più grande delle stanze d’albergo, debolmente illuminata da una luce al neon piazzata sopra di una macchina inesplicabile. Vista da dietro sembra un lettino per abbronzarsi, di quelli che si aprono e si chiudono come un sarcofago, ma quando la tocco la macchina reagisce con un bzzz improvviso e si accende tutta, iniziando a fare un rumore stranissimo, come se ci fosse un motore elettrico nascosto che muove una ventola, ma da fuori non si vede nulla del genere. Ora che la macchina si è accesa, si vede che su un lato della stanza ci sono quattro tavolini con altrettante stazioni di computer, tutti collegati con la macchina, che erano evidentemente in stand-by, tant’è che si accendono all’unisono e pretendono una password che, ovviamente, non conosco. Torno alla macchina, ci sono dei tasti, ne spingo due a caso, ma non accade nulla. Sto tornando ai computer, ma da dietro la porta chiusa a chiave si sente armeggiare alla serratura, sicché me ne scappo più presto che posso. Il mistero si infittisce, dovrò tornarci – e magari cercare la complicità di Verena o del Comandante Marko. A domani.

Lascia un commento