Scrive Davide Giacalone, e concordo pienamente: “Oltre alle truffe bancarie ci sono quelle semantiche. La Banca Popolare di Vicenza ha ridotto da 62.5 euro a 6.3 il valore delle proprie azioni. Per chi le aveva comprate una perdita brutale. Veneto Banca, per restare in zona, le ha deprezzate dell’81%. In questi casi si legge che a rimetterci sono i “risparmiatori”, ma non è esatto. Risparmiare significa rinunciare a spendere una parte del proprio reddito, destinandola alla sicurezza futura, o a consumi differiti nel tempo, o a investimenti, come l’acquisto di una casa. Comprare, con i propri risparmi, delle azioni, di una banca o di altre società, invece, si chiama: “investire”. Chi sceglie, investendo, di privilegiare la sicurezza cercherà quanto più possibile di diversificare. Il mondo e i mercati crescono, se spargo i miei soldi nel globo potrò perdere da una parte, ma guadagnerò dall’altra. Se compro le azioni di una sola società, invece, la mia sorte sarà legata a quella. Non sta né in cielo né in terra che se guadagno sono soldi miei, mentre se perdo chiedo di averli indietro. A meno che io non sia un investitore, ma un truffato. La truffa semantica consiste nel far credere che i soldi investiti, solo perché precedentemente risparmiati, siano sempre tutelati come risparmi. Non è e non può essere così. Ed è truffaldino anche far credere che ci sia sempre la possibilità d’essere risarciti, perché questo diminuirà l’attenzione dell’investitore e agevolerà l’opera del truffatore. Come non fosse già abbastanza agevole e nefanda (si legga “Rischio banche”, di Leopoldo Gasbarro, appena giunto in libreria). Dopo gli errori commessi con il decreto di novembre, che ha creato nuove illusioni, è bene mettere in chiaro che chi si sente truffato deve fare una sola cosa: denunciare i presunti truffatori. Che restano “presunti” fin quando qualcuno non li condanna. Se le azioni sono state rifilate in occasione della concessione di un mutuo, se i profili degli investitori sono manomessi, se sono taroccati i bilanci o i prospetti, ci sono le condizioni affinché la denuncia diventi accusa penale. Da lì in poi si segue la strada di giustizia. Se ci si accorge che è troppo lenta, ben venuti in questo mondo: sono lustri che lo diciamo, ma vedo che i rimedi allo studio consistono nell’allungare i tempi dei procedimenti penali e della prescrizione, ovvero nell’aumentare il male. Chissà che i risparmiatori, raggirati e depredati, non siano il popolo finalmente cosciente del problema. Ma mettiamo che la truffa non ci sia stata, non per questo le drammatiche perdite di capitale sono sempre normali e lecite. Le società per azioni funzionano se gli azionisti si sentono effettivamente padroni. Essi delegano a un consiglio d’amministrazione e a un amministratore il compito di gestire la loro società, ma non ne divengono sudditi. Se le cose vanno bene, solitamente si è troppo felici per mettersi a sofisticare. Se le cose vanno male, può darsi che accada per oggettive condizioni di mercato. Ma se le cose vanno bene ad alcuni concorrenti e male ad altri, è ragionevole supporre che gli sfortunati siano amministrati male. Il che apre un bivio: incapaci o affaristi in proprio. Nel primo caso si licenziano, senza premi, nel secondo si avviano azioni di responsabilità, si denunciano. Ed è un bene, perché altrimenti finiscono di guastare una ditta e vanno a spolparne un’altra. Certo, dovrebbero funzionare gli organismi di vigilanza e controllo, sia interni che esterni alla società, ma non ci si può rassegnare a dipendere dalle iniziative altrui (pur doverose, sicché a loro volta denunciabili, ove dolosamente omesse). Gli azionisti che comperano le azioni come si comperano i biglietti della lotteria sono destinati a essere parco buoi, e, in periodi difficili, avviati alla macellazione. Assecondare la loro lamentazione da risparmiatori traditi serve solo a coprire le colpe di chi ha approfittato del loro essere investitori ignari e proprietari mancati. Da questa dura stagione si cerchi, almeno, di cogliere insegnamenti utili. Si eviti di supporre che le colpe stiano sempre da un’altra parte. Non ci si accontenti della ipocrita consolazione e si reclami la giusta punizione dei colpevoli. Altrimenti non s’imparerà mai, accodandosi silenti verso il macello. L’urlo, in quel caso, arriva sempre quando è troppo tardi.

Lascia un commento