– „Vorrei“, di Francesco Guccini… Questa canzone è del 1996, quando Francesco Guccini aveva più o meno la mia età attuale. Non la conoscevo. Me l’ha portata in dono la signora che fà le pulizie nel mio palazzo, un atto completamente immotivato, apparentemente. Mi ha detto, la signora Maria Vittoria da Oristano, che mi aveva sentito cantare al buio e che la mia voce le ricordava quel disco. Così l’ho ascoltato… “Vorrei conoscer l’ odore del tuo paese, camminare di casa nel tuo giardino, respirare nell’ aria sale e maggese, gli aromi della tua salvia e del rosmarino. Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero parlando con me del tempo e dei giorni andati, vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero, come se amici fossimo sempre stati. Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri, le strisce delle lumache nei loro gusci, capire tutti gli sguardi dietro agli scuri e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io…” … e sono stato folgorato dalla precisione millimetrica, come un missile sparato da una batteria nascosta a migliaia di chilometri di distanza, da uno spazio ed un tempo sconosciuti, come nella scena finale di “Syriana”. Ed ho iniziato a ricordarmi di me che mi imprimo nella memoria gli odori ed i colori di un posto lontanissimo che cercavo così di fare mio. Un luogo nel quale ero entrato come l’acqua – dicevano con rabbia – per allargarmi come se ci fossi sempre stato. Mi ricordo in modo speciale una chiesa ed un sorriso di traverso, altrui, come se tutto fosse stato già scritto e non potesse essere più cambiato… “Vorrei con te da solo sempre viaggiare, scoprire quello che intorno c’è da scoprire per raccontarti e poi farmi raccontare il senso d’ un rabbuiarsi e del tuo gioire; vorrei tornare nei posti dove son stato, spiegarti di quanto tutto sia poi diverso e per farmi da te spiegare cos’è cambiato e quale sapore nuovo abbia l’ universo. Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona o il mare di una remota spiaggia cubana o un greppe dell’ Appennino dove risuona fra gli alberi un’ usata e semplice tramontana e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io… ” Quindi le lacrime amare. Le stesse lacrime descritte in un mio racconto del 1996, “Notte del 10 giugno”, la stessa precisa descrizione di un luogo vicino a Stoccarda, la sensazione di vivere in una bolla temporale e geografica esclusiva cui una sola persona aveva avuto accesso, senza peraltro mai averlo chiesto, anzi, rifiutandosi di entrare, perché coloro che non sanno nuotare non lo impareranno mai, la paura dell’acqua è una scelta di vita. Costoro sanno scivolare su un lago ed affrontare i marosi della Sicilia, ma dell’acqua vera avranno sempre paura, come di ogni profondità “Vorrei restare per sempre in un posto solo per ascoltare il suono del tuo parlare e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo impliciti dentro al semplice tuo camminare e restare in silenzio al suono della tua voce o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso dimenticando il tempo troppo veloce o nascondere in due sciocchezze che son commosso. Vorrei cantare il canto delle tue mani, giocare con te un eterno gioco proibito che l’ oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’ infinito e lo vorrei perchè non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei ed io…” Il resto é ricordo inutile. La foga di vivere mi porta in avanti, questa canzone, avendola scritta lui, non la scriverò mai, come le “giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di trsitezza” di Un Altro Giorno E’ Andato. A chi mi ha detto recentemente che preferisce vivere amputata rispondo: si può amputare ciò che c’era, altrimenti ciò che ci duole, il dolore fantasmatico, viene da un altrove che nemmeno immagini. E se non lo immagini, allora, è giusto e non può essere cambiato che io rimanga, da sempre in poi, comunque solo. Con il mio pathos da quattro soldi e soprattutto con l’irraggiungibile snobismo della mia insicurezza. Ma queste sono cose che capisce solo Chicca, che di mestiere distrugge, divora, brucia e pulisce dove gli altri non avevano visto nemmeno esserci stato un incidente. A voi tutte, inutilmente Sempre da Francesco Guccini: “ed io ti canterò questa canzone, uguale a tante che già ti cantai. Ignorala, come hai ignorato le altre, che poi saran le ultime oramai” – Eskimo

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