Camminavo mentre Roma si svegliava. Accidia, fatica, splendore, umidità, tutto appariva grande e magnifico. La vita stessa, nascosta nelle pieghe sordide della Città Eterna, svaporava stiracchiandosi tra il profumo del caffè e quello delle coltri appena abbandonate. La grandezza è proprio in questa meravigliosa dissonanza, questa impossibilità, la nitidezza di fragori e colori proprie dell’alba. Ed ancora: gente assonnata assiepata nei bus, che scarica furgoni, che si saluta da lontano a gran voce, mentre nel cielo gabbiani ed uccelli del malaugurio, dopo il sanguinoso trionfo su chiunque volasse, gazzarrano spaventosi e truculenti. Io ero qui, piccino non tanto, ma bambino, e come sempre tentavo di tornare a casa, fischiettando Edward Elgar. Buongiorno!
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