Ascoltavo oggi una trasmissione alla Radio in cui si cercava di orientare le ragazze ed i ragazzi che, in questo settembre, iniziano l’università. Riassumo brevemente, quindi non sarò precisissimo: chi (in Italia) si laurea in discipline umanistiche rimane più a lungo disoccupato che chi si laurea in discipline scientifiche o economiche. Ma se si guarda a quale impiego abbiano trovato coloro che, dall’una o dall’altra parte, ce l’hanno fatta, nemmeno un terzo farà da grande ciò per cui ha creduto di studiare. Questa cosa non mi stupisce affatto. Da oltre 40 anni questo cambiamento, su scala planetaria, è stato fatto, sembra però che nell’analisi tutti (non solo da noi) si stupiscano ancora di alcuni fatti acquisiti: a) chi si è laureato, non importa in cosa, non sa ancora fare il lavoro che cerca. Chi lo assume deve farsi carico di ricominciare quasi da zero. Questo perché i mutamenti del mercato e della tecnologia sono più veloci della capacità del sistema educativo di inseguirli. Ovunque (non solo da noi) chi insegna è colui che non è stato (o non sarebbe) in grado di trovare posto altrove. Nella mia azienda sono passate, in 12 anni, 48 persone. Nessuno di coloro che veniva dall’università ha retto più di tre mesi. Il motivo è un’incapacità mia di insegnare, evidentemente, ma anche una sesquipedale ignoranza di questi ragazzi che hanno imparato a memoria tonnellate di informazioni superate, inutili, false, inapplicabili, e non hanno imparato ad imparare, e quindi non ce la fanno. Mi sono anche capitati casi di analfabetismo funzionale, ovvero di laureati che praticamente non sapevano né leggere né scrivere compiutamente; b) le professioni si sviluppano nell’una o nell’altra direzione seguendo le richieste del mercato. Se insegniamo oggi ad un ragazzo a fare il tipografo, non troverà lavoro, perché è stato da decenni sostituito dalle macchine. E’ bellissimo che sappia come funziona il procedimento, ma solo per cultura personale o per sfizio. Oggi bisogna lavorare in nicchie in continua evoluzione e non è un’esagerazione dire che si trova lavoro soprattutto nell’interdisciplinarietà – ovvero nella capacità di mettere insieme nozioni imparate in campi completamente diversi tra loro che, sinergicamente, creano una nuova miscela. Il sistema di estrema specializzazione, tipico dell’università americana, è obsoleto – e forse sarà per questo che noi italiani (e non solo noi) lo copiamo. Oggi le “soft skills” sono più importanti del corso di laurea: la competenza sociale ed emotiva, la flessibilità interculturale, l’esperienza in settori fortemente interdisciplinarizzati. Nella mia professione, la collega (ai vertici sono quasi tutte donne) più brava e famosa ha il seguente curriculum: laureata in economia, soldato carrista, membro delle truppe speciali, laurea in educazione fisica, due anni di navigazione su navi per commodities, due anni di lavoro in un’impresa di logistica, poi laurea in global forensis (ovvero giurisprudenza comparata) e due anni insegnante part-time in un asilo per portatori di handicap. A 32 anni questa collega è per tutti (lo dimostra ogni settimana) la più brava del mondo; c) moltissimi studenti si laureano fortemente fuori corso ed arrivano allo Stige, traversando il quale inizia il Mondo Del Lavoro, quando hanno oramai più di 30 anni, hanno passato questa giovinezza allungata in casa con i genitori, cercano un impiego “classico”, non lo trovano, ed alla soglia dei 40 anni li trovi nella situazione in cui, 100 anni fa, si trovavano le ragazze ed i ragazzi di 16 anni. A fare praticantato quasi gratis in un posto qualunque. Come è stato detto nella trasmissione, l’idea (l’ideale) dell’Università come ascensore sociale è morta, o sta rantolando. Il posto che sognavi lo trovi se i genitori, più che benestanti, sono stati in grado di arricchire di soft skills il tuo curriculum; se la tua famiglia è creditrice di un favore importante da un politico, un industriale, un finanziere; se la tua famiglia è straricca e cominci a lavorare per papà; se hai potuto imparare almeno una terza lingua oltre a quella madre e quella inglese ed hai dimostrato di aver lavorato all’estero. Ma c’è una notizia peggiore. Una volta si poteva mandare i figli a bottega ed imparare un mestiere. Ebbene, i mestieri sono stati accoppati, ed oggi è rarissimo fare strada in quei settori – a meno che la tua famiglia non ti ci abbia fatto crescere dentro. Ed in sempre più settori artigianali la tecnologia, pezzo per pezzo, si sostituisce all’uomo. Quanto ad Utopia, la penso come Karl Popper: il sogno dei filosofi non si realizza in una società aperta, ma in una dittatura repressiva e sanguinaria. In Germania si dice “la gente devi obbligarla con la forza se vuoi che sia felice”. E allora? Dunque: in questo medioevo, in cui stiamo sprofondando, se la cavano gli eclettici, i flessibili, coloro che si sono inventati qualcosa che funziona. Per gli altri il post-capitalismo prevede una guerra mondiale, oppure continuare così: o un posto nella pubblica amministrazione, o la schiavitù, o la migrazione più o meno clandestina, o l’elemosina. Oppure spostiamo il fulcro dell’economia dal capitale alla forza lavoro, e ci proviamo di nuovo, stavolta onestamente.

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