– Quarta festa in piazzetta alla Certosa di Via Savorgnan, dietro ai locali del Comitato di Quartiere, per ricordare Ciro Principessa, ammazzato da un militante fascista nel 1979. Ci vado un po’ titubante, con la paura di sentirmi estraneo e snob, di sentirmi inadeguato con il mio peso e i miei anni e la mia burbanzosa sicumera dottrinale. La piazza é chiusa, Polizia dapertutto, ma non appena entro in piazza mi sembra di essere sul set di un film sugli Anni Belli (quelli che la storiografia ufficiale chiama con spregio gli Anni di Piombo). Bambini che si rincorrono, biciclette, mamme, vecchietti allegri, borgatari, compagne e compagni di allora, di oggi, rappers diciottenni che parlano romanesco con accento arabo… Un paradiso di colori, emozioni, tranquillità, pacata allegria, un’isola di pulizia. Gli oratori sono quelli di sempre, all’inizio. Poi viene un professore, fuori di se dalla rabbia, che in modo originale spiega perché il governo Monti ci stia truffando insieme ai governi dell’Unione Europea e soprattutto la Germania. Non sono d’accordo su tutto, ma non importa. Lo “schianto” è il fatto che ci sono un centinaio di persone di tutte le età ed estrazioni che annuiscono o discutono, ma sono consapevoli, sanno di cosa si parla e perché. Il moderatore ci chiama compagne e compagni, dà la parola ad un membro dei GAP di Tor Pignattara, un anziano combattente che é venuto apposta da Campobasso. E tutti parlano con maggiore o minore competenza, con o senza eloquio, con una retorica dei bei tempi andati, ma tutti sanno esattamente quale sia la posta in gioco. Sono esterrefatto. Incontro Chiara Crupi, Alessandra Amitrano, alcuni ragazzi del Kollatino Undreground, mi sento come se mi avessero portato in una macchina del tempo fino alla Rometta mia, quella della mia gioventù, ma con uno sguardo diritto puntato sul presente e sugli orrori a venire. Ed io, che in questi anni, con presunzione, ho creduto che fosse necessario uscire dalla borgata per capire il mondo, mi accorgo di aver imparato che tutto il mondo, o è borgata, o è finto e sottilmente falso. Quando Tamara Bartolini legge un testo scritto da lei e da un’altra compagna su Ciro Principessa, faccio fatica a trattenere le lacrime. Chi se ne importa dell’intellettualismo. Possiamo, dobbiamo, vogliamo ancora piangere Giorgiana Masi, Valerio Verbano, Walter Rossi, Mauro Rostagno, Mario Salvi, Daddo e Iaio. Ci riconosciamo nella loro scomparsa. Ci ricordiamo di noi in loro. Tamara lo dice benissimo. Erano anni bellissimi, bellissimi, in cui credevamo. Ma anche adesso ci sorprendiamo a credere. Il testo di Tamara è pieno di poesia, malinconia, speranza, rabbia pacata, ineluttabile certezza. Quando poi salgono sul palco le ragazze ed i ragazzi del Laboratorio Permanente di Michelangelo Ricci con le loro belle canzoni ed i loro cori brechtiani sono veramente travolto dall’allegria, che prende il posto della commozione. laboratoriopermanente.it Mi accordo che la rabbia serve solo per riconoscersi, ma che qui in piazzetta, come a Connewitz a Lipsia, nelle strade di Berlino Est, negli espropri di Amburgo, nei ricordi della Reithalle di Berna, ci si sente a casa con serenità, c’è una lentezza stupenda e rinfrancante, l’ineluttabilità della nostra resistenza, la prova che ci siamo ancora, perché sappiamo esistere anche nelle situazioni più difficili, perché torniamo qui anche dopo 40 anni a ritrovare le nostre radici. Provo simpatia e tenerezza per i giganti rap di “Fori dar centro”, davvero bravi (youtube.com/watch?v=7qpZvLmAoXs), ma il mito della serata è il piccolo Leon (sei anni? sette?) che prima canta un rap difficilissimo, poi intona Bella Ciao, e tutto il quartiere canta con lui, che dice con voce ingenua: “Che siamo tutti contro i fascisti?” Sì, storcete pure il naso, quanto romanticismo melenso e fuori tempo massimo, avete ragione. Se fossi stato sul palco avrei cantato: “Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio”. Ma per una volta non avevo bisogno di farmi guardare, sono rimasto piccolo in un angolo. A guardare quelle ragazze bellissime della mia gioventù, che non ne vedevo più da decenni di così belle. Io vengo da Primavalle, e non ho nemmeno mai avuto un vespino rosso bordò. Ma da stanotte sono meno pessimista. C’è ancora un posto in cui nascondermi, se il mondo mi spaventa.

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