Stamattina, dalla Svizzera, è arrivata una notizia (per me) meravigliosa. Tredici anni fa scrissi un libro, “Il cassiere di Saddam”, che venne pubblicato da Matteo Cheda, un caro amico ed un giornalista preparato e coraggioso, che a Bellinzona dirige da decenni una rivista per consumatori. Nel libro descrivevo la vita di un fiduciario ticinese, Elio Borradori, che durante una lunga e fortunata carriera aveva lavorato per tantissime persone importanti, ma che ebbe nel nipote di Saddam Hussein il cliente certamente più importante e difficile da gestire. Scrissi il libro NON come atto d’accusa contro Borradori, ma insieme a lui, con le sue frasi, i suoi documenti, cercando di raccontare la piazza finanziaria luganese, di tracciare delle linee di storia dell’economia svizzera che mancano completamente, visto che persino l’archivio dell’emeroteca della RTSI (la TV di Stato ticinese) è stata distrutto, anni fa, cancellando le ultime possibilità di ricostruire la storia del Cantone. Ciò che è conservato nella Biblioteca Cantonale di Bellinzona, infatti, non è nemmeno lo 0,5% di ciò che esisteva e venne bruciato e/o cancellato. Il libro ebbe un successo spettacolare, e dopo pochi giorni venne proibito. In Svizzera, se qualche persona potente chiede la sospensione di una pubblicazione, la ottiene, e la mantiene fino a quando i processi legati a quella pubblicazione non vengano conclusi. Ebbene, sono ancora aperti. Matteo ha lottato per anni per poterne pubblicare una versione che NON contenesse le sole tre frasi ancora messe in discussione (in nessuna Corte, perché gli ultimi processi sono tutti in stand-by), ma non c’è stato verso… “Il cassiere di Saddam” potete trovarlo solo nelle biblioteche Cantonali e nella Zentralbibliothek di Zurigo. Perché mi rallegro? Perché ieri la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha stabilito che la giustizia elvetica commise degli errori gravi nella gestione del patrimonio di Saddam Hussein in Svizzera, e che la Black List proposta dagli Stati Uniti e recepita dalle Nazioni Unite (che sono notoriamente un ufficio distaccato dell’amministrazione federale di Washington) sia costruita senza nessun fondamento giuridico e senza prove – che era poi una delle tesi centrali del mio libro. Naturalmente non succede nulla, la Svizzera continua a proibire la diffusione del libro, ma almeno so di non essere solo insieme a Matteo Cheda… Fin qui la mia sciocca vanità. Il problema vero, nascosto dietro a questa vicenda, è decidere quale sia il vero e giusto ruolo della figura denominata “fiduciario” nell’amministrazione dei patrimoni. Il fiduciario è colui che ci mette la faccia per nascondere l’identità del vero cliente. Alcuni fiduciari derubano il cliente, altri finiscono nei guai, perché la giustizia di alcuni Paesi riconosce loro (giustamente) un ruolo attivo nella gestione di quei patrimoni, alcuni vengono suicidati (come Roberto Calvi, Helios Jermini etc), in generale sono figure estremamente protette, perché le leggi, scritte dai clienti dei fiduciari, che seggono nei posti di potere, vogliono evitare che costoro siano costretti un giorno a spifferare fatti privati di fronte ad una pubblica Corte. Il grande storico dell’economia Robert Liefmann, i cui libri sono la base di tutto ciò che so sull’argomento, scrisse già nel 1897 (poco dopo il fallimento di alcune grandi banche tedesche) un testo che trattava tra l’altro gli effetti nefasti delle strutture offshore e della figura del fiduciario (“Die Unternehmerverbände”, ovvero le associazioni tra imprenditori, mai tradotto in italiano) ed in cui spiegava: “Questa figura rende possibile la parcellizzazione delle responsaibilità individuali fino al punto che, nel caso di truffa alla banca, o all’industria, commessa su istigazione o direttamente dai suoi principali proprietari, nessuno possa essere punito ed il danno non possa essere risanato”. Più avanti, nel 1913, prendendosela con Richard Merton, il boss della Metallgesellschaft di Francoforte (uno dei dieci imprenditori più potenti al mondo, a quell’epoca, fondatore del primo sistema di società bucalettere della storia), scrisse che “la figura del fiduciario copre interessi politici, religiosi, militari, prima ancora che economici, sottrae sostanza al bene pubblico, trasforma il diritto in una messa in scena del potere oscuro delle lobbies, impedisce agli Stati Nazionali di rappresentare i diritti naturali dei suoi cittadini”. Inutile dire che Liefmann, che era evangelico ma discendeva da una famiglia ebrea, nel 1933 venne escluso dall’insegnamento, il suo patrimonio confiscato. Venne poi portato in campo di concentramento, e fece una morte orribile in seguito alle torture ed alle malattie. Merton, che era ebreo ed un dirigente della DVP (una frattura interna al partito liberale che dimostrava smaccate simpatie per i nazionalsocialisti), venne internato per soli tre mesi a Buchenwald, poi venne tirato fuori da lì da Hitler ed i suoi accoliti e mandato negli Stati Uniti, dove continuò a fare il tifo per il nazismo e, dopo la guerra, venne rimesso a capo della Metallgesellschaft. Degli studi di Liefmann non resta nulla, ho comprato le edizioni originali per un prezzo folle, perché ne restasse una qualche memoria. Dal 1897 le cose sono peggiorate. Oggi, di ciò che accade veramente sotto la coperta dei movimenti alla borsa e delle operazioni sui titoli di società non quotate, nessuno sa nulla. Non si sa nemmeno di quanto siano grandi le cifre che vengono spostate. Personaggi come Isabel Dos Santos, figlia del Presidente angolano, hanno patrimoni di decine di miliardi, sparsi per il pianeta, e nessuno lo sa. Donald Trump, ugualmente, possiede cifre inverosimili, costruite in gran parte con mezzi assurdi, tipo l’intermediazione di escort a livello internazionale, quello di calciatori, scambi di proprietà su hotels e strutture turistiche, tutti affari che, dietro la facciata di fiduciari compiacenti, gli permettono di offrirsi come struttura logistica per altri affari segreti e loschi. Non illeciti, ma loschi. Perché i fiduciari permettono al potere di cancellare i principi della giustizia, e quindi cancellare la forza della giustizia stessa. I dibattiti italiani sulle toghe rosse (che sono strumentali, e vengono fatti per distogliervi dall’occuparvi di questioni serie) assomigliano a chi, in un palazzo che brucia, si lamenta per la temperatura dell’acqua in cui, incurante della morte che incombe, sta cuocendo gli spaghetti. Ma almeno a Strasburgo c’è qualcuno che, nel suo piccolo, che piccolo non è, ieri ha mandato un grido. Grazie.

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