Questo è un Natale particolare, che arriva in un periodo di grande confusione, quasi isteria, di tristezza e paura, di rabbia e riflusso. Nella mia trombonaggine, cerco di riassumere lo stato dell’arte. Il mondo. La serie di bolle speculative (ovvero l’uso sconsiderato di sistemi di prestito finanziario sul futuro, che alla scadenza crea – ovviamente – disastri) ha messo in ginocchio l’economia mondiale. Dapprima la crisi è stata scaricata con un rilancio di una nuova ondata speculativa (2009), poi con lo spostamento successivo di questa nuova ondata sui Paesi emergenti (Angola, Brasile, Vietnam, Nigeria, Egitto, Turchia, India, Indonesia, Marocco), che quindi si sono indebitati in modo pericoloso e ad una velocità incontrollabile. Per le banche va benissimo, perché con la cartolarizzazione e gli accordi con gli istituti mondiali, quei soldi che mancano dalle casse di quei Paesi continuano ad apparire sulle contabilità bancarie. Ma per l’industria ed il commercio questa è stata una pugnalata a morte. Il rimbalzo di questa pugnalata è stata la caduta del prezzo delle materie prime (a prescindere dal petrolio, di cui parlerò dopo) al punto in cui la sussistenza dei lavoratori locali è stata messa in serio pericolo. Ma non è bastato. Lo spostamento è arrivato alla Grecia (di cui nessuno parla, da quando i tedeschi hanno ottenuto il risultato sperato, ovvero l’acquisizione senza pagare di tutti gli aeroporti greci), al Portogallo, alla Spagna, ai Paesi Baltici, ed ora toccherà presumibilmente ai Paesi balcanici, alla Romania ed alla Bulgaria. Ma l’avvenimento più inquietante è la contemporaneità della crisi cinese e dell’embargo contro la Russia, che trasforma quel Paese, altrimenti in crescita costante, in un nuovo buco nero. Lentamente, la testa (Washington, Berlino, Bruxelles, Londra) si sta mangiando la coda, per poi risalire digerendo il resto del corpo. Ma la crisi non finisce, peggiora. Ed in uno dei pochi Paesi europei che cresce (la Polonia) siamo arrivati ad una svolta autoritaria e liberticida che travalica anche l’estremismo di destra del governo ungherese. In queste condizioni la fine dell’Unione Europea diventa una possibilità ancora improbabile, ma possibile. Come una nuova guerra mondiale, che stavolta partirebbe dalla crisi siriana e le crisi a questa collegate – compresa l’onda lunga della Primavera Araba, di cui si vedono le sanguinose conseguenze in Libia, in Sud Sudan, in Yemen, in Eritrea. Il fondamentalismo islamico. I Paesi arabi sono eternamente in lotta tra loro, e negli ultimi anni il wahabismo saudita ha raggiunto una posizione di predominanza dovuta soprattutto all’atteggiamento suicida degli Stati Uniti e della famiglia Bush, che da decenni appoggiano e fanno affari con la Corona saudita e gli Emirati, portando una monarchia medievale, sanguinaria, cieca e illiberale alla testa dell’economia, della forza militare e della forza diplomatica dell’intero mondo arabo. L’ultima creazione è quella di Da’esh, che sta portando l’ordine wahabita nelle zone di guerra, e la guerra nelle zone d’ordine del sistema dipendente dall’economia americana e dal petrolio arabo. Per strozzare definitivamente i concorrenti interni, Arabia ed Emirati stanno facendo crollare i prezzi del petrolio aumentando la produzione, e gli Stati Uniti fanno lo stesso incoraggiando i Paesi più poveri ad introdurre dei sistemi di produzione di metano dalla frantumazione delle rocce (uno dei fattori economici alla base del boom economico polacco). Attualmente non esiste alcuna speranza che Da’esh venga battuta, perché è funzionale al disegno strategico comune di Arabi ed Americani, ed anche a noi questa cosa pare utile, perché ricrea una fittizia richiesta di Stato “forte” e sostiene la voglia di riduzione delle libertà democratiche, che è la risposta dei partiti all’accorgersi della mancanza di consenso alla loro politica da parte della popolazione. L’Unione Europea. Politicamente il progetto è definitivamente fallito. Così come l’ONU è la vasca da bagno degli Stati Uniti, il Parlamento di Strasburgo è la toeletta di Berlino e dei suoi alleati, a partire dal Lussemburgo di Juncker, la Scandinavia, il Belgio e l’Olanda. Non esiste nessuna politica comune, solo un braccio di ferro tra la Germania da un lato e la Banca Centrale Europea (ma solo finché ci sarà Mario Draghi a dirigerla) dall’altro. Le strutture intermedie (Stati Nazionali, Regioni, Provincie) sono un peso economico e burocratico intollerabile che contraddicono nei fatti i dettami del Centro. Per fortuna, perché a causa del sistema elettorale della UE noi non possiamo votare a favore o contro la Signora Merkel, quindi le elezioni del Parlamento Europeo sono una burletta – ed il Parlamento costa uno sproposito ingiustificabile. Oramai mi pare sufficiente che uno solo dei Paesi chiave esca (Regno Unito o Polonia) e saremmo alla fine – e non so se l’Euro potrebbe sopravvivere alla fine dell’Unione così come la conosciamo oggi. Ma mi chiedo a cosa servirebbe mantenere una struttura burocratica così costosa per una confederazione delle debolezze il cui vero contenuto sarebbe la federazione dei Paesi satellite della Germania. L’Italia. Matteo Renzi ha un solo progetto: convincere gli italiani che i risparmi vadano spesi al più presto possibile. Il nostro Paese, unico fra tutti, aveva una caratteristica speciale: l’immane debito pubblico era coperto da un risparmio privato che era il doppio del debito stesso. Renzi è convinto di poter usare quel pozzo di soldi per far ripartire non l’economia, di cui non gli importa nulla, non la società, che schifa sinceramente, non la popolazione, che disprezza profondamente, ma il sistema finanziario che lo ha portato lì dove si trova. Insomma cerca di far pagare la bolla speculativa attuale alla popolazione, e ci sta riuscendo. Probabilmente calcola che la sua parabola politica finirà prima della prossima implosione, a meno che non gli riesca a modificare le regole del gioco di modo da restare in sella a prescindere. Tutti gli altri partiti, in testa a tutti il Movimento Cinque Stelle, si stanno comportando in modo funzionale a questo progetto, perché protestano su questioni irrilevanti e non vedono invece le operazioni chiave. Ad esempio: in un Paese normale la signora Boschi non solo si sarebbe dimessa per la questione della Banca Etruria (e non è detto che prima o poi non lo faccia), ma non sarebbe mai stata ministro. In un Paese normale il governo avrebbe impedito che quelle banche fallissero come sono fallite. In un Paese normale si saprebbe che le banche in quella situazione non sono quattro, ma quattordici, e delle altre non si dice nulla. Ci si lamenta per l’operazione fatta per rendere meno duro il destino di chi ha scommesso e perso per quelle banche, nessuno dice che per gli altri non ci sarà nulla. Nessuno dice che la situazione di Unicredit è talmente grave da far trattenere il fiato non solo alle autorità italiane, ma a quelle di tutta l’Europa. Ma i Grillini, come il PD di Rutelli e D’Alema, reagiscono invece di agire – e peraltro, a meno che non credi loro come ad una setta religiosa, sono sputtanatissimi nei fatti, ovvero nella loro gestione dei Comuni. La gente li voterà, sarà un disastro, il PD renziano ne raccoglierà l’eredità. L’unico partito che aveva in se il seme del nuovo, Fermare il Declino, è stato accoppato dalla follia dei fondatori, ed ha portato nella tomba la speranza di un’Italia diversa possibile. Noi. Stiamo male, abbiamo paura, siamo confusi. Resistiamo soprattutto all’idea di dover ridurre il nostro stile di vita. Crediamo che accettare immigranti e clandestini sia la chiave per precipitare nell’indigenza e nella violenza e non ci accorgiamo (non ci vogliamo accorgere) che siamo vittime comuni dello stesso disegno – o mancanza di disegno – della politica. Dopo la malattia televisiva, ora la rivoluzione dei social networks ed il miglioramento della qualità dei videogames hanno cancellato la capacità di socializzazione di almeno due generazioni. Dopo due generazioni di bambini viziati, nati negli anni 80, ora abbiamo due generazioni di dissociati e di autistici. Le colpe sono quelle dei genitori come me, che, essendo cresciuti in un’era in cui venne abrogato il senso di responsabilità, danno la colpa alla società, allo Stato ed al destino di tutto ciò che accade loro, e vivono di sotterfugi, di speranza nell’enalotto, e di pigrizia infinita. Siamo così alla fine di un’era. Questo Natale è la sintesi di tutto ciò. Della voglia di non sapere e non vedere, della voglia di uomini forti che risolvano i problemi senza dirci nulla, di interscambi personali scissi dal coinvolgimento affettivo, di passioni egotiche infantili, di mamme, di bagno di sangue purificatore delle paure e delle rabbie di cui non vogliamo sapere la causa, perché siamo noi stessi. Il nostro odio per noi stessi ed i nostri simili – che è l’estrinsecazione della nostra paura irragionevole e della consapevolezza del fatto che dovremmo aver paura di cose che nemmeno sappiamo cogliere – è il simbolo dell’Anno del Giubileo della Misericordia. Ci sarà da divertirsi. Buon Natale, specie se avete avuto il coraggio di leggere fin qui.

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