– Sala punture, ore sette e dieci. Ci sono i responsabili dell’istituto, vestiti non in camice bianco, ma in giacca scura. Accanto a loro altre persone che non conosco e che devono quindi far parte della proprietà. Nessun rappresentante delle terapeute o degli impiegati dell’hotel. Sprofondo in una poltroncina avana, gli altri mi seggono intorno in silenzio. Sicché parlo per primo: non sono dottore, avverto. E nemmeno dentista, il mio successo con le donne è piuttosto limitato. Pago per essere qui e ritengo di non dover subire processi. Silenzio. Alcuni sussurrano qualcosa di inintelligibile all’orecchio del vicino. Quindi penso che la questione sia risolta e faccio per alzarmi. Un pennellone si alza, mi viene incontro, mi tiene fermo per un braccio e tira fuori da dietro la schiena l’altra mano che regge un oggetto bianco. Mi sento come Luc Orient prima di essere portato su Terango. Una voce gelida e insofferente mi ordina di stare fermo. Di colpo appaiono due omoni in divisa. Uno lo riconosco, l’ho visto di notte al quarto piano. Di quei bambini che hanno mangiato a colazione insieme a cappuccino e brioche non resta nessuna traccia visibile. Dei professionisti. Ricado a sedere, il pennellone mi volta la mano e mi punge un dito con questo meccanismo extraterrestre, poi ghigna: glicemia centocinque, tutto ok. Ecco, verrò ucciso e mangiato, penso, sono digeribile persino per alieni diabetici. Una voce imperiosa mi chiede: allora Fusi, lei è interessato al quarto piano. Perché? Chi la manda? Tentenno. Sto per nominare il mio amico Alessandro Orlandi, che è stato qui prima di me, ma poi penso: qui non stiamo invitando la gente a fracicarsi coglionamente di acqua fredda per far finta di essere amici della ricerca scientifica. Qui, se spiffero il suo nome, quelli andranno certamente a prenderlo e lo manderanno a Guantanamo (magari c’è stato e si è vergognato di raccontarmelo). Quanto alla bella signora che mi ha consigliato di venire qui, davvero non la posso nominare. Ha un’importante posizione istituzionale, lavora nello staff di una ex professoressa universitaria che ora fa la spogliarellista per la terza età e che, grazie a questa sua specificità, ha fatto una brillante carriera parlamentare. La mia amica ha per giunta un figlio piccolo, che di certo non è innocente, ma è tanto carino, sicché non me la sento di mettere in pericolo la vita della sua mamma. Mentre mi trastullo con questi pensieri mi assale il silenzio. Mi è stata fatta una domanda, non ho risposto. “Sono andato a vedere per pura curiosità”, dico col faccino del tonno tonto di Bitonto che fa tanto ingenuotto marmellotto. Il direttore dell’istituto mi prende le braccia ed estrae una siringa. Grido. Manca il pungiglione, mi spruzza addosso una crema che poi spalma sulle mia braccia. Ecco, ora ci attaccano gli elettrodi e mi scandagliano il cervello, penso! Bene, così non troveranno che il vuoto pneumatico, e mi viene sonno. Dato che non ho mangiato mozzarella in carrozza ed è mattina presto, penso che questo sia un effetto collaterale della pomata. La medicina aliena non ha il bugiardino con le controindicazioni da leggere. “Lei qui si trova male, vero?” chiede la voce imperiosa. Cerco e ricerco me stesso, ma è vero, in questa jungla di adiposi carpiata e ritornata faccio fatica, e male, nella ricerca del mio vero io – anche per questo cercavo una risposta al quarto piano. Nessuno ride: “Qui le risposte le diamo noi. Se ci avesse chiesto, le avremmo dato tutti i ragguagli necessari. Quelle sciocchezze che scrive su Facebook ci hanno ferito molto, anzi moltissimo. Una delle terapeute ne è stata talmente sopraffatta da pensare di gettarsi dalla rupe di San Leo. Un’altra si è iscritta a tutte le associazioni per gli animali che si stanno rapidissimamente estinguendo: Balla per le Balene, Quant’è Raro er Giaguaro, Scelta Civica, Fan Club Balotelli, Giovedì Gnocca, Anch’Io Sto Con Gli Ippopotami. Mentre il direttore elenca queste sigle disperate, una donna piange sommessamente. Tutti mi guardano furiosi. “Prometta che non salirà più al quarto piano”. Allora ditemi cosa ci nascondete. Nessuna risposta. “Prometta che la smetterà immediatamente con il blog di Buru Buru”. Non avete nessun diritto di frugare fra le mie cose private, ed io pago per essere qui, affermo. Silenzio. “Voi intellettualini frustrati e ciccioni che avete cinquant’anni e state ancora rincorrendo le sciocchezze da adolescenti siete una piaga. Noi qui siamo un’istituzione seria. Lei si crede un artista, ma è solo un patetico resto di magazzino senza equilibrio interiore. Lei puzza di Alan Ford, di La Democrazia è un Fucile sulla Spalla degli Operai, di Pizza da Baffetto, della tromba di Garibaldi-tre-dita, di spocchia snob, lei non capisce nulla e non vuole capire. Qui riportiamo le persone al centro del loro vero io e li liberiamo dalla corazza di grasso che hanno costruito per nascondersi. Anche lei, caro Fusi. Ma non tema. Lei ha pagato. Quindi ce la faremo anche con lei, anche se lei commette sciocchezze e non collabora. Vedrà che piegheremo lei come abbiamo già piegato gente ben più dura di lei. Faccia pure lo spiritoso, vedrà cosa ci inventeremo per farla ridere meglio”. Si alzano e lasciano la sala, resto solo con un uomo col frustino: “Avanti, in palestra! Scattare!” Titubo. La frusta schiocca a dieci centimetri dalla mia faccia. Vado. Non dimenticatemi.

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