John Fitzgerald Kennedy vinse le elezioni gridando “non chiederti cosa l’America debba fare per te, chiediti cosa tu possa fare per l’America”. Nell’oceano parcellizzato di una nazione opulenta, ma dalle immense sacche di povertà, proiettata nel futuro tecnologico e sociale, ma ancora piena di melanomi medievali, convinta di essere la più grande democrazia mai esistita, ma sorretta dalla corruzione, dalla violenza, dalle lobbies e dal sopruso, Kennedy convinse milioni di persone che fosse giusto essere orgogliosi di essere Americani, e che il governo fosse occupato a fare “la cosa giusta” per il proprio popolo, non importa se discriminando i neri, mandando i propri ragazzi a morire in Vietnam, o pagando carneficine sconce in Sudamerica per sorreggere dittature militari, o persino facendo esperimenti atomici sulla pelle dei propri soldati, mandati a morire marciando nel fall-out. Kennedy stesso, che in guerra era diventato famoso per aver nuotato decine di chilometri in mare per salvare i suoi commilitoni, come presidente ne aveva fatte di cotte e di crude, dai tradimenti alla moglie ad alcune altre decisioni prese in ossequio agli interessi economici della propria famiglia. In economia fece ridurre le tasse ai meno abbienti e lanciò una serie di programmi rivoluzionari a sostegno degli agricoltori, cercò di introdurre norme antitrust, mise un sindacalista a capo del Ministero del Lavoro, Arthur Goldberg. E venne ammazzato, in piena campagna elettorale per un secondo mandato – un omicidio, la cui verità, 55 anni dopo i fatti, ci è sconosciuta. Ma il cui effetto fu iniziare un processo che, in pochi anni, e dopo l’assassinio del fratello di John, Robert, portò Nixon al potere e poi portò l’America al Watergate, la grande delusione, il momento in cui nemmeno gli Americani poterono restare così ottusi da non capire di essere stati sistematicamente presi per i fondelli. In Italia, nel corso degli ultimi 100 anni, diversi gruppi, con i loro capi, hanno cercato di ottenere un’adesione della nostra gente (di me, di te, di noi, dei nostri padri e nonni, ed ora dei nostri figli e nipoti) al loro governo. Mussolini c’era riuscito, in parte con le buone, in parte con le cattive. Ce ne siamo liberati, in parte in modo trasparente, ma in parte preponderante in modo tutt’altro che pulito, quando è stato chiaro a tutti che il suo governo danneggiava gravemente ogni cittadino. Lo choc è stato talmente grande, che per 50 anni la politica italiana, nonostante sanguinosi sobbalzi, si è tenuta lontana dalla pantomima del capopopolo che, invece di risolvere i problemi, per prima cosa unisce i cuori, e poi vedremo. Dopodiché sono arrivati Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Come Kennedy, erano pronti a tutto, e ritennero che fosse necessario ottenere l’adesione della popolazione al leader, e poi il resto sarebbe venuto da sé. Per farcela, hanno investito sull’ignoranza. Berlusconi, addirittura, ha investito tempo e denaro nell’accrescerla e dirigerla. Non ce l’ha fatta, come non ce l’ha fatta nessuno degli altri, come non credo che ce la faranno Salvini e Grillo. Questi ultimi hanno ottenuto, almeno per un momento, lo stesso risultato che ottenne Mussolini: portare la maggioranza silenziosa, con la sua isteria, ignoranza, volgarità, rabbia ed individualismo egotico ed infantile a guidare (nominalmente) il Paese. E, come Mussolini, sull’altare di questo tentativo hanno sacrificato il significato stesso della parola “politica”, che vuol dire fare gli interessi della comunità, se necessario al di sopra dei singoli, e della parola “libertà”, che non è violenza frenetica, ma presa di coscienza, responsabilità, senso dello Stato. Nell’epopea umana, gli unici popoli che, per un momento almeno, abbiano dimostrato di difendere la libertà, la democrazia ed il senso dello Stato, erano popoli gravemente segnati dalle tragedie. La gente dimentica. La generazione successiva ha già completamente rimosso ogni anticorpo difensivo ed è pronta a ripetere, baldanzosamente, gli errori dalle conseguenze più mostruose, come il giovane che guida ubriaco a tutta velocità, credendo che a lui non accadrà mai nulla di male. Purtroppo, però, c’è una differenza sostanziale, se si paragona l’oggi ai milioni di ieri. Oggi, con pochi mezzi, una tecnocrazia ben organizzata può ottenere (come in Russia, in India, in Cina, negli Stati Uniti, in Svizzera) di schiacciare completamente ogni individuo, in modo scientifico. Finora noi abbiamo avuto fortuna perché i nostri capataz sono tutti pulcinella ridicoli ed incapaci. Ma la porta, attraverso la quale entreranno le Erinni, sono spalancate. La chiave che le chiude, il Senso dello Stato, si è quasi persa, e col tempo ci si dimenticherà persino della sua esistenza.

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