Ogni anno che passa, credo, la celebrazione del 25 aprile diventa più importante. Ogni anno sono in meno coloro che furono partigiani ed oggi sono ancora vivi, anche se l’ANPI, grazie alla passione di persone di grande cuore ed intelligenza come Gianluigi Amadei, continua a trasmettere il suo messaggio ed a rinnovarlo. Ogni anno coloro che invocano una revisione in positivo del fascismo (e quindi ridicolizzano il ruolo dei partigiani nella guerra civile) aumentano e, con uno schema proprio di tutto il genere umano, sostituiscono i propri ricordi ed i propri pregiudizi all’analisi di ciò che allora accadde veramente. Ma che questo revisionismo filofascista abbia successo nella mente e nella coscienza di tanti italiani è prima di tutto colpa della cultura e della politica ufficiale. Prima di tutto: nonostante la mia invereconda età, io non c’ero. Ciò che credo di sapere viene dalla frequentazione di ex partigiani, dai romanzi e i racconti di Beppe Fenoglio (che sto rileggendo in queste settimane), e dai ricordi di due interventi del Prof. Ludovico Gatto, medievalista, che negli anni della mia gioventù aveva una posizione di rilievo nel PRI romano e quindi ogni tanto mi capitava di ascoltare. L’impressione che ne ho tratto è la seguente: dopo l’8 settembre l’Esercito Italiano (ovvero migliaia di soldati di leva e di carriera) si trovò allo sbando. Alcuni tornarono a casa, alcuni andarono ad ingrossare le fila della Repubblica Sociale Italiana perché si ritenevano fedeli al Duce ed al Führer, alcuni seguirono gli ufficiali di fede badogliana sulle montagne e cercarono di rimanere esercito nell’attesa dell’arrivo degli alleati, alcuni si organizzarono come potevano, senza nessuna preparazione, come partigiani delle formazioni politiche legate al Comitato di Liberazione Nazionale, dividendosi tra partigiani di ogni formazione politica di quello che, dal 1948, sarà l’arco costituzionale della neonata Repubblica italiana. Nei cinque anni che intercorrono tra l’8 settembre e la dichiarazione della Repubblica, ne successero di tutti i colori. Episodi di grande eroismo ed immensa meschinità, vendette personali e gesta patriottiche e/o libertarie. Sogni ed incubi, sangue e fame, fatica, in un caleidoscopio che, nel vuoto istituzionale di allora, rendeva tutto possibile, tutto lecito, tutto naturale. Va da se che le stragi più orribili siano state compiute dall’Esercito Tedesco e dai Repubblichini, perché costoro ce l’avevano con tutta la popolazione, non solo con i soldati della parte avversa. La rabbia dei partigiani si vide a Piazzale Loreto, che pure non è stata una bella pagina. Le bellle pagine sono state quelle di persone come Salvo D’Acquisto, e ce ne sono state tantissime. La tesi revisionista è che le gesta dei partigiani siano state ampiamente esagerate in positivo, le cattiverie nascoste, esagerate le stragi nazifasciste, ridicolizzato l’impianto organizzativo militare del CLN (come nei casi della presa e poi ritirata di Alba o l’attentato di Via Rasella a Roma), ma il fulcro di tutto, sia di chi sostiene che di chi denigra l’epos partigiano, é quello centrale, che è il motivo per cui la guerra partigiana riveste un’importanza fondamentale nella costruzione della tradizione (debolissima) della democrazia in Italia. Denigrare i partigiani significa denigrare la democrazia, sostenere che questo Paese diventerà gestibile e pulito solo sotto una dittatura. All’epos partigiano si contrappone un epos contrapposto (sotto il fascismo non c’era criminalità, non c’era corruzione, si costruivano le strade ed esisteva un orgoglio nazionale), che mostra il punto debole dell’intero costrutto. A partire dal 1948, per ricostruire l’Italia con quella debolissima democrazia, in un paese in cui tutti erano ancora armati, l’intero apparato di giustizia, di polizia e dell’istruzione era quello del ventennio fascista (e non cambierà mai), c’era bisogno di qualcosa in cui riconoscersi: un’utopia positiva. L’unica possibile era la guerra partigiana, certamente non quella risorgimentale (egualmente se non più ancora controversa, e comunque indissolubilmente legata alla monarchia ed alla profonda corruzione degli anni di Cavour e poi di Giolitti). Durante la guerra partigiana, si disse, italiani di tutte le ideologie, tutti i ceti, tutte le regioni geografiche, si batterono insieme per riparare l’onta irreparabile dell’aver fatto la guerra al fianco di Hitler, di aver partecipato all’Olocausto ebraico, e poi di aver cambiato squadra in corso, l’8 settembre, vista la mala parata. Il discredito di cui ha “goduto” l’Italia dopo il 1943, figlio del disprezzo insopportabile con cui fummo trattati nel 1919 al momento di stabilire i nuovi confini dopo la Grande Guerra, andava in qualche modo lavato, neutralizzato, una contro-palingenesi di quella del nazifascismo che contenesse un’espiazione – i caduti nella popolazione e nei partigiani. La guerra partigiana era ed è il fondamento della Repubblica Italiana. Come tutte le affermazioni storiche fatte troppo a caldo, va presa cum grano salis. ma proprio quel granello di sale ci dice che l’alternativa ad una presa di coscienza collettiva e storicistica della fondamentale e positiva importanza della guerra partigiana è la dissoluzione di ogni momento costituente della nostra democrazia ed apre le porte non solo al salvinismo, al nazigrillismo, al berlusconismo ed al renzismo, ma alla rinuncia alla democrazia in nome di una pigrizia mentale e morale, che chiede quiete ed impunità. Per questo motivo, oggi come sempre, tanti auguri a tutti coloro che amano, pieni di dubbi e sofferenza, la libertà, la democrazia, questo nostro sfortunato Paese.

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