I malmostosi pensionati che affollano le stanze ed i corridoi dell’albergo mi inducono ad una certa malinconia. Ah, i bei tempi delle gianduiotte, quando l’isteria garriva felice da ogni pennone, le emozioni malsane blandivano le mollezze dell’inferno, rabbia e furore ruscellavano a rivoli per le rampe di scale avite, tornite e basite… di tutto ciò resta solo l’eco dei pianti per le abbandonate stanze. Questa vena aulica non viene più nemmeno scalfita dal menù: oggi panini Dalmine per una zuppa di pomodori stanchi ed avulsi su uno stuolo di baccelli di fonio etiope in un inguacchio di spezie primordiali, dopodiché corsetti bolliti al ricordo muliebre con gancetti al vino bianco. E chi ci fa più caso? I musi spiaggiati di questi cetacei parlano di matrimoni penitenziari, decenni di lavoro coatto, anni di stenti e obsolescenza autoprogrammata. Mi guardano come fossi una reliquia: dottore, è molto che lei è qui? Sapesse – rispondo – ricordo ancora di quando mi costruirono l’hotel tutt’intorno, cinquanta anni fa. E quelli: ma davvero? A tavola il loro sommesso e disperato brusio risuona come una novena di frati auto flagellanti. Ed io tra di voi se non parlo mai ho gonfio di pianto il cuore. Sicché, per evitare di finire in depressione, mi sono messo a cercare qualche nuova discolezza da combinare. Nell’area intorno all’hotel non c’è nulla: una strada che sale in serpentina, una porta medievale che porta ad una salita che porterà dopo milioni di gradoni al centro di San Marino – nulla per me, logicamente. Non ho nemmeno voglia di monellerie interne all’istituto terapico, prima di tutto perché le persone che ci lavorano mi sono simpatiche ed hanno la mia stima, e poi non voglio essere cacciato via in anticipo. Sicché ne ho fatta una che non mi aspettavo nemmeno io. Ho preparato una pagina word con l’intestazione “San Marino alla Croazia!” in cui si rinfocolano i ricordi sulle origini della repubblica, fondata il 3 settembre del 301 d.C. da Arbe, un tagliapietre dalmata (quindi croato) fuggito dalle galere romane, in cui l’aveva schiaffato la magistratura dell’Impero guidato da Diocleziano. Con lui erano scappati altri dalmati, alcuni illiri, ed insieme avevano cercato di ricostruire, sul Monte Titano, l’antica capitale Dalminio, distrutta da Publio Cornelio Scipione Nasica 450 anni prima dell’evasione di Arbe e compagni. Il progetto era semplice: d’inverno arroccati tra le nevi del Titano a ricostruire l’orgoglio croato, d’estate tutti ad Ariminum a rapinare i romani che transitavano per la Via Flaminia, la Via Popilia o la via Emilia, e baldoria nelle lascivoteche della foce del fiume Marecchia, dal cui estuario nelle giornate più terse si indovinavano le lontane coste dalmate. Insomma, in questo manifestino, in poche righe, sostengo i seguenti punti politici qualificanti: a) il vero sanmarinese non è che un croato incrociato, sicché, per la pulizia etnica, tutti i cognomi dovranno essere slavizzati, a partire dai capitani reggenti in carica Valeria Ciavattava e Luka Bekarovic.; b) fuori da San Marino tutti coloro che non sanno giocare a nascondino nella vera lingua madre (jedam, dva, tri, cetri, piet etc.); c) immediata adesione delle squadre di San Marino ai campionati sportivi croati; d) sterminio dei cristiani che rifiutano di convertirsi alla religione ortodossa; e) fusione della Banca del Titano (che dopo il miliardario fallimento e connesso scandalo politico oggi si chiama SM International Bank), della Cassa di Risparmio, della Banca di San Marino e degli altri istituti finanziari nazionali con la Privredna Banka di Zagabria. Tutto a firma del PUPU Partito Unitario dei Protonazionalisti Ustascia di San Marino. Ne ho fotocopiati cento esemplari (tutta San Marino è grande come l’ingorgo di Via Merulana il lunedì sera) e li ho messi sotto il tergicristallo di tutte le auto a targa sanmarinese che mi sono capitate a tiro. Dopodiché mi sono seduto su una panchina a vedere di nascosto l’effetto che fa. Non ci crederete: la gente lo leggeva, invece di buttarlo via subito. Non avendo nulla ma proprio gnente, gnentissimo da fa, ho rugantinamente tenuto una statistica. Su 39 possibili elettori 11 lo hanno buttato via con disprezzo, dicendo una parolaccia o guardandosi intorno per capire dove fossero i cameramen di Paperissima; 18 lo hanno letto due volte, lo hanno piegato e se lo sono messo in tasca o nel borsello; 4 si sono messi a ridere; 6 lo hanno attaccato sul tergicristallo dell’auto a targa italiana che stava loro più vicino. Ad occhio e croce, se faccio la lista e mi candido alle elezioni, posso contare sul 10%, che a mio parere è molto più di quanto otterrebbe in Italia un partito serio che proponesse soluzioni reali per uscire dalla crisi. E così, pieno d’allegria, me ne sono tornato in camera – ma non temete, sono ancora vittima della sete di sapere. Stanotte, se mi sveglio, si va nuovamente a cercare di scardinare il segreto del piano proibito.

Lascia un commento