Già molto prima della riunificazione, il quartiere di Connewitz, a Lipsia, era la terra degli artisti indipendenti, dei punk, di un caleidoscopio di malinconie e passioni, di gioventù da bruciare, che resiste ai richiami che vengono da entrambi i blocchi. Qui puoi trovare solo avversari anche violenti del regime, ma assolutamente contrari al capitalismo ed alla Germania Ovest: il polmone libero, il cuore pulsante, che la sofferenza inflitta dalla dittatura ha creato per partenogenesi, involontariamente, nonostante tutto, proprio a causa del tutto. Quando venne imposta la Riunificazione, e con questa il capitalismo, la Karl Liebknecht Strasse divenne una specie di viaggio nel tempo, che partiva dagli austeri palazzi del centro, che venivano risucchiati dal potere del denaro occidentale, il quartiere universitario, con il caffè Puskin ed il mercato (stupendo) del Centro Sociale Autogestito, poi le case in cui vivono gli studenti, alla fine un grande supermercato, piantonato dai Witries (insulto locale per gli ubriaconi, che vivono in greggi con cani e moto), e la Connewitzer Kreuz, che si apre sulla Biedermannstrasse, la colonna vertebrale del quartiere, il cui braccio è la Stockartstrasse, dove abitavo anch’io, di fronte al LiWi, dove ogni giovedì si giocava a Doppelkopf, il tresette tedesco. Tutte case in rovina, donate agli abitanti, che hanno costituito cooperative, hanno risanato tutto, specie con le proprie mani, ed hanno trasformato la desolazione di un quartiere da abbandonare in un posto meraviglioso, colorato, che adesso (ovviamente) deve difendersi dalle grandi immobiliari, che vorrebbero entrarci e comprare tutto. Ho amato e odiato Connewitz. Ma non sono mai appartenuto a quel bellissimo circo multicolore, anche se ci ho davvero provato… Andavo a giocare a ping-pong ed a discutere alle riunioni politiche al Zoro, andavo a mangiare nella piccolissima cucina della Signora Krause (che poi morì di cancro, lasciando l’intero quartiere in lacrime), guardavo film impossibili al cineforum e la Ohlsenbande al LiWi, scrivevo sui tazebao locali, andavo a ballare ad Halle 2, c’ero spesso agli stupendi concerti di Connie Island (Motorpsycho, Notwist, Lali Puna, Sterne, Rocko Schamoni, Goldenen Zitronen…), partecipavo ai barbecue nei cortili dei grandi caseggiati, e la notte del 1° maggio, come è tradizione da un quarto di secolo, mi buttavo per strada, pieno di paura, armato di bastone e di schifo, aspettando i Naziskin, che ogni anno attaccano Connewitz (con il beneplacito della Polizia). Presi parte alle Olimpiadi dell’Occupazione – una gara organizzata dal PDS, dato che oltre 5mila case della città erano abbandonate. Ragazzi da tutta Europa vennero e le occuparono per un weekend, organizzando festini a base di tofu e verdure grigliate, birra succhi di frutta – ed un ragazzo morì cadendo da un davanzale, trasformando il gioco in tragedia, deliravo strofette composte da me (Meine Puppe an der Luppe, mit ‘ner Fluppe auf den Lippen, sie kocht auch ‘ne Huenchensuppe, die noch keiner toppen konnte). Ma non serviva a nulla, ero e restavo un corpo estraneo, ignorato dai più, considerato esotico dai punk più estremi, che erano anche i più avvicinabili. Al Connewitzer Kreuz incontrai pet la prima volta Kerstin Köhler, che poi è stata la mia compagna per quasi dodici anni: prendeva a calci la macchina per i biglietti del tram e bestemmiava sottovoce. Lei fa tutto sottovoce. Dopo che ci siamo lasciati, lei è tornata lì, perché solo lì si sente a casa. La domenica mattina, i punk organizzavano salotti per strada, con cani, divani, cani, birra, cani e musica. “Stanno appesi”, come si dice in tedesco. Insomma, si ciacolava aspettando il sole e lasciando il tempo scorrerci addosso. Io restavo in casa a studiare o a lavorare, ma ascoltavo dalla finestra aperta, mi facevano compagnia. Ed in quell’interminabile anno passato lassù, ascoltavano quasi soltanto una canzone, sempre quella, ascoltata cento volte al giorno, a volte stonata in coro. Me ne ricordo oggi, con una dolce nostalgia allegra, perché qui dove abito c’è un sole delizioso ed un freddo pungente, come allora. E come allora, come dice quella canzone infinita, mi hanno messo k.o., ma sto per rimettermi in piedi.

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