Lemmy Kilmister è morto. Il bassista, cantante e songwriter dei Motörhead è stato un punto di riferimento culturale per almeno quattro generazioni, passando dal rock’n’roll giovanile (era un bravo ragazzo di provincia inglese) allo space rock degli Hawkwind, che sono stati, a mio parere, una delle dieci band più importanti della storia del rock, dopo i Led Zeppelin ma almeno alla pari con band di successo come i Jethro Tull, gli Yes, i Gentle Giant. Ma Lemmy Kilmister, già allora, seguiva un’altra strada. Una strada che passa per Sun Ra, i Tangerine Dream, e poi il nascente punk – perché Lemmy era essenziale nel tratto, creativo nelle melodie, ed odiava il patetico ed il lezioso. Mai cantautore del vittimismo, ma arcigno e sardonico cantore del sapore metallico della solitudine tra la gente, delle contraddizioni senza soluzione, del ghignare (mai ridere) delle proprie debolezze. Nonostante fosse divenuto il leader di quella band (o forse proprio per questo) venne cacciato via nel 1975, quando si fece cinque giorni di gabbio per droga. E da lì, attraverso un paio di passaggi irrilevanti, nacquero i Motörhead. Che erano oltre il punk prima che il punk esplodesse, oltre i Kyuss prima che John Garcia scrivesse la sua prima canzone, al di là dei TRex di Bolan, quando costui era ancora vivo. Non ho mai amato la sua musica, appartengo ad un’altra generazione, ma ho sempre provato un rispetto ed un’ammirazione profondi per un uomo che ha seguito una pista, che l’ha resa visibile e ne ha fatto una vita. Nella mia immaginazione Lemmy è come Lewis e Clark, che seguendo un sogno ed un’ispirazione sconvolgono la geografia del mondo e, scoprendo il Passaggio a Nord-Ovest, rendono Gulliver fiaba e il mondo intero realtà. Lemmy è uno di quegli artisti che ora cercheranno di capire tutti, persino i babbioni come me: troppo tardi, perché lui è sempre stato l’attimo, la perfezione dell’atto, la ricerca di uno spazio interiore come la conosco solo da Sartre, una battaglia che non si vince e non si perde mai, perché continua in eterno.

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