Credo che Udo Gümpel abbia ragione. Tayyip Erdogan sta scommettendo in modo rischioso su tutti i tavoli, e noi Europei siamo talmente mollaccioni da non avere il coraggio di andare a vedere il suo bluff. Riassumo. Dopo il tentativo di colpo di Stato, Erdogan sta facendo piazza pulita di ogni possibile oppositore, con una acrimonia ed un’efficienza burocratica tipica delle peggiori dittature. Ma su questo torno più avanti. Sta minacciando l’Unione Europea: se i cittadini turchi non dovessero ricevere il permesso di recarsi nella UE senza visto entro ottobre, lui smetterebbe di bloccare gli emigranti che dal Medio Oriente e dall’Africa attraversano la Turchia per venire da noi. Per aumentare la nostra paura, è riuscito ad organizzare, in Germania, manifestazioni di piazza a sostegno del proprio regime autocratico, e minaccia l’Italia a causa dell’inchiesta penale della procura della Repubblica di Bologna su suo figlio Bilal. Subliminalmente, minaccia di smettere di combattere Da’esh… Una cosa alla volta. I turchi che vivono in Europa sono circa 3,2 milioni, di cui la metà in Germania. Se aggiungiamo Svizzera ed Austria si arriva quasi a 2 milioni, il resto è sparso, specie in Belgio ed Olanda. In Italia, i turchi sono una comunità residuale, e da noi vengono soprattutto curdi. Ma chi vuole lasciare la Turchia? I curdi, soprattutto, perché sono poveri e perseguitati, ma ora anche scienziati, intellettuali, la borghesia medio-alta, giovani con un alto grado di scolarizzazione. Gente che scappa da una feroce dittatura e che a noi farebbe sinceramente comodo. Non è un caso il fatto che in Germania dei figli di turchi occupino alcune tra le cariche politiche più importanti dello Stato, e questo anche nei partiti conservatori e sciovinisti come la CDU. Non ci sono turchi che scappano dalla miseria, e se ci sono, questi sono pochissimi, perché l’economia turca, fino alla fine del 2015, era una locomotiva che macinava successi. Il flusso dei migranti sta scemando considerevolmente, perché arrivare in Europa Occidentale passando per i Balcani è divenuto impossibile a prescindere dalla Turchia. Il PIL turco è raddoppiato in dieci anni sfiorando i 1000 miliardi di dollari, il guadagno medio pro capite annuo è passato da circa 4200 a 10’000 Euro in cinque anni. Il tasso di crescita media annua del PIL reale è stato pari al 4,9%, il debito pubblico è sceso dal 74% al 36,3% del PIL, il deficit di bilancio è sceso dal 10% all’1,2% del PIL. La burocrazia funziona: ci vogliono sei giorni per costituire una società (in Italia, in alcune zone, anche un mese), si viene trattati alla pari se si viene da fuori e le imprese estere ottengono importanti agevolazioni fiscali, i servizi funzionano, tutto al livello delle più moderne tecnologie. Dal punto di vista commerciale, la Turchia è il Paese di maggior successo al mondo dopo la Cina, se si vedono gli ultimi dieci anni. Ma attenzione: il 78% delle merci viene venduto nella UE, siamo noi a finanziare questo boom economico, e non siamo capaci di farlo pesare… In questo boom, Tayyip Erdogan ha guadagnato in popolarità, ma soprattutto in denaro. Nell’area di Pamukkale, o più precisamente a Çivril, nella Provincia di Denizli, la famiglia Erdogan e la famiglia Kamer sono alleate da decenni, e controllano assieme il gruppo Atasay, che grazie alle commesse ottenute dallo Stato negli ultimi 15 anni è divenuto il gruppo industriale e commerciale più importante della Turchia, e dà lavoro a circa 560mila persone, più un indotto che non sono in grado di calcolare ma che, capirete bene, in una nazione di 75 milioni di abitanti, rappresenta un punto di riferimento importantissimo. Il gruppo è al primo posto nel mercato dei gioielli, della produzione militare, del commercio al dettaglio, della costruzione di infrastrutture… Bilal Erdogan, figlio di Tayyip, ha sposato una figlia di Kamer, ed ora si occupa di espandere Atasay in Europa – partendo dal contrabbando, che è il segmento di mercato più redditizio del gruppo. Per questo è sotto inchiesta a Bologna, ed è giusto che lo sia. Erdogan deve la sua fortuna politica agli scandali che hanno travolto i suoi predecessori, ed al suo pugno di ferro contro i curdi, unito al suo appoggio discreto del fondamentalismo islamico, di cui si è servito come leva per giustificare azioni militari in Kurdistan. Non ha mai combattuto Da’esh, ma come i curdi, gli israeliani e tutti lì intorno, con l’ISIS ci fa affari. E nel frattempo sparecchia il tavolo. La crescita anche elettorale dei curdi è stata repressa nel sangue, così come ogni opposizione democratica – e molti pensano che dietro molti attentati di matrice non chiara ci sia la sua mano. Ma per continuare a vincere lui deve mettere sempre più paura alla gente, mantenere il successo economico, trasformare noi Europei nel nemico, perché sa bene che coloro che lo appoggiano hanno simpatie evidenti per l’estremismo islamico. Anche in Turchia, come ovunque, la democrazia è in pericolo per il fatto che i cittadini non si sentono più tali, non vogliono e non riescono a capire la complessità, delegano l’intelligenza, vogliono risposte chiare e radicali, e soprattutto dimostrazioni di forza. Come accennavo all’inizio, il regime violento e repressivo di Erdogan si basa su una burocrazia che crede (come quella tedesca nel 1933) che schiacciare la testa dei cittadini che pensano con la propria testa sia necessario. Non c’è nessuno di più efferato e brutale di un burocrate frustrato ed invidioso. Ed ora Erdogan, giocando come un immenso bluffeur su di un tavolo che lo ha visto salvarsi per il rotto della cuffia, ha usato il colpo di Stato per minacciare tutti, e cacciare i pochi burocrati che gli stavano contro, usando i sistemi di delazione che George Orwell aveva perfezionato, prendendoli dal nazionalsocialismo. E noi gli stiamo dicendo da settimane che ha ragione a fare così. Che bravi che siamo a calare le braghe. Noi vediamo i cittadini che inneggiano ad Erdogan. Gli altri non li vediamo, che se si mostrano li ammazzano. Ed i nostri politici ora cercano di farci credere che, in fondo in fondo, Erdogan sia un leader democratico. Che fare? Restituire Erdogan al mittente. Chiudere per sempre le trattative per l’entrata nell’Unione Europea, escludere la Turchia dalla NATO, iniziare con l’embargo, rendere noi Occidentali credibili, chiudere la porta in faccia al crimine organizzato turco che, sostenuto apertamente dallo Stato, sta penetrando ovunque in Europa. Regaliamo la Turchia ai Wahabiti, che ne faranno polpette, partendo proprio da Erdogan. In Medio Oriente nessuno è fesso. Con il rientro in gioco dell’Iran, la progressiva sconfitta di Da’esh, la crescita del potere Russo, è Erdogan che ha un disperato bisogno di noi, non il contrario. Che paghi per l’orrore che ha scatenato.

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