– Si avvicina l’alba del 3 settembre. Un’altra alba del 3 settembre, come un anno fa e come due anni fa. Ma non è dei ricordi che si vuol parlare, troppe cose che faranno male per decenni, soprattutto la colazione in veranda a Massa Marittima con una tazza di thé fumante in mano e la bruma autunnale a sorridermi… il lago, la stanza, gli odori, le albe rosa e viola, il cuore gonfio di gratitudine per l’immenso, la certezza che qualcosa stesse arrivando. Vento dall’Est, scriverebbe la signora Travers… Ma il mondo gira, gira, gira vorticosamente: tutto è cambiato ancora, di prima non resta che un dolore segreto, e questa è sempre stata una mia grande qualità. Ma al centro, nell’occhio del ciclone, tutto è rimasto intatto, come il 3 settembre del 1977. Una giornata di cui non ricordo nulla, naturalmente. Mi ricordo solo una partita a carte con Antonio, una discussione con Daniele, entrambe a fine estate. E mi ricordo di un agosto avventuroso ed emozionante – nonostante la mia insicurezza e fragilità. Cento anni e cento chili dopo la stanchezza è immane, ma non basta, bisogna andare avanti. Mi aspetta una notte di lavoro. Sono stato previdente e mi sono ridotto all’ultimo momento. Tanto non avrei dormito. E come faccio sempre per queste speciali ricorrenze, mi sono preparato compiendo un paio di sciocchezze, tanto per addolorarmi, tanto per mettere in discussione le cose migliori che ho dalla vita. Che bimbo che sono: castello su, castello giù. Non c’è più la superstizione, l’idea che una forza esterna influenzi le mie piccole stolte capriole. Al contrario, questa forza mi ha tenuto in vita al di là di ogni cretinata commessa, di pericolo corso, di pazzia autodistruttrice. Sono ancora qui. Come dice la canzone: dovrete uccidermi, perché io non me ne vado. Mai.

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