Scrive Davide Giacalone, e condivido pienamente: “A Roma è in atto una procedura pericolosa e demolitrice, tanto della democrazia quanto del diritto. Il tripudio d’incompetenza e insensibilità, di cui s’è reso protagonista Ignazio Marino, non oscuri il trionfo d’approssimazione e velenosità delle scelte compiute dal governo. Anche in considerazione del fatto che l’accelerazione finale del disfacimento è seguita ai funerali Casamonica, tema sul quale la responsabilità municipale è inferiore a quella statale. Si dice che Roma è stata “commissariata di fatto”. Il problema è che, nel nostro ordinamento, il “commissariamento di fatto” non esiste. Né potrebbe. La ragione non è pane per denti adusi al cavillo, ma ineludibile ove non si voglia far passare le leggi in cavalleria: il responsabile delle scelte comunali è il sindaco, assieme alla giunta e al Consiglio comunale, la cui legittimità deriva dal voto popolare; il commissariamento sposta i poteri, ma anche le responsabilità, che passano in capo a un soggetto nominato dal governo. Non c’è né può esserci via intermedia, perché in quel luogo, come la romana “terra di mezzo” abbondantemente insegna, regna l’irresponsabilità. Il sindaco e il commissario, nell’amministrazione dei poteri municipali, sono figure alternative, che non è possibile affiancare. Altrimenti non sai più di chi sono i meriti e le colpe, chi ne risponde. Cosa succede se, domani, gli appalti per il giubileo si scoprono mal concepiti e le opere non realizzate? Il sindaco dice: che volete da me, c’erano il commissario e il supervisore. Il commissario dice: mica avevo i pieni poteri, altrimenti non ci sarebbe stato il sindaco, e non dimenticate che agivo concordando con lui. Il supervisore dice: lo feci osservare in una nota riservata, poi tornai a occuparmi d’altro. Immorale: un casotto irragionevole. La sola responsabilità che sopravvive è quella penale, segno che la politica, per insipienza e incapacità, continua a consegnarsi alle procure. La legge (articolo 143 del testo unico enti locali) è chiara: a fronte di un “fatto grave” si attiva una relazione prefettizia, letta la quale il governo decide se commissariare o meno. Stiamo parlando di mafia ed è esclusa la figura del badante. C’è poi la versione voluta dall’allora prefetto De Sena (2006), che consente un approccio più morbido, andando incontro a sindaci per bene, ma assediati da poteri loschi e bruschi: sempre procedura prefettizia e cambio d’autorità dei funzionari. E parliamo sempre di mafia. E non è quanto disposto per Roma. Nella capitale s’afferma, invece, l’opacità giuridica, con la quale si spera di coprire la disperazione politica. Non contento di questi errori, il governo ne ha commesso uno ulteriore, nominando un ex assessore quale commissario al debito. Si tratta di una gestione commissariale iniziata nel 2008 (e destinata a durare fino al 2048, al modico costo di 500 milioni l’anno). Il cambio di commissario era necessario perché la Corte costituzionale aveva giudicato illegittima la legge con cui era stata fatta la precedente nomina. Capolavoro. Ma non è finita, perché il governo decide di metterci una persona che si era dimessa, lo scorso 25 luglio, da assessore al bilancio, sempre di Roma, e lo aveva fatto con una lettera di dura contrapposizione alla giunta che abbandonava. Ora fa il commissario. Quindi il governo sceglie di affidare il debito a chi osteggia Marino. Se l’opacità nuoce al diritto, l’insieme ammazza la democrazia. Che si vota a fare, se poi il potere si distribuisce altrove? Siccome siamo la Repubblica del precedente, ove quel che è scritto nelle leggi ha valore inferiore di qual che è uso farsi, questo accrocco romano va demolito subito. Marino ai Caraibi è inguardabile, ma se questo è il modo in cui il governo pensa di agire è meglio che lo raggiungano colà. Meglio le pinne e le maschere che le penne e le mascherate. Come se ne esce? Come leggi e buon senso chiedono, una delle tre: a. il Consiglio comunale prende atto che la città è in mano a uno zuzzurellone, sicché lo manda sotto sul bilancio e si va a votare; b. oppure se lo tengono, anche per tenersi il posto, meritandosi a vicenda, sicché il giudizio, più in la, spetterà agli elettori; c. il governo manda tutti a casa, la gestione passa al commissario e si preparano le urne. Capisco la moda, ma le amministrazioni comunali ermafrodite non sono previste dall’ordinamento”.

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