– Sono stato all’inaugurazione della mostra fotografica di Santiago Faraone Mennella presso la Home Gallery Wo-Ma’n di Marta Rossato e Wolfango De Spirito ed ho trovato che, in modo piacevolmente sorprendente, questa Home Gallery dimostra una grande vitalità ed estro nelle scelte, una freschezza che mi sbalordisce ogni volta che ci vado. I due galleristi hanno allargato lo spazio espositivo alla terrazza condominiale, circondata come una corona da principessa da antenne TV e con una vista mozzafiato sulla Roma dei palazzinari scatenati del boom economico, ed ai lavatoi condominiali, che, visibilmente abbandonati da decenni, sono già in se e per se un viaggio a ritroso nell’infanzia. Tutta la mostra ha un giallino opaco ed un blu carta da zucchero che riporta con la mente e la malinconia olfattiva proprio dei cartoni triangolari della Centrale del Latte, degli Ombrellai ed Arrotini per strada, delle mamme che, insieme, lavavano i panni e li stendevano cinguettando con le vicine. La mostra porta una serie splendida di foto di annunci mortuari napoletani. A dirla così sembra una cosa da scrollare il capo, ed invece ci si trova di fronte ad uno spaccato di un’Italia segreta, in diretta dagli anni 50 e 60, senza retorica, in cui l’annuncio mortuario resta una vera e propria comunicazione sociale, lo scandire della vita tra chi si conosce e definisce se stesso attraverso la relazione con gli altri – prima quindi che l’edonismo reaganiano consegnasse agli psicanalisti orde di italiani scombinati e fuori ruolo. Le foto sono geniali, perché gli attacchini napoletani sono geniali e Santiago ha un occhio assassino! A Napoli, oltre al nome del morto, viene pubblicato anche il suo soprannome, poiché probabilmente il quartiere conosce lo scomparso solo con quello. Così l’annuncio della morte dello Sparatore è sopra un manifesto di un comizio di Pino Rauti, quello della morte della Vaccara sotto un cartello scritto a mano maledicente la miseria, e via di seguito, una fila lunghissimo. C’è pure quello detto “Scopata”. Lì per lì si resta interdetti. Poi si legge la lista dei condolenti: la moglie e poi uno, due, tre, quattro…. UNDICI FIGLI LEGITTIMI, sicché il soprannome non é stato dato a casaccio. Questa mostra quindi non indica una direzione della fotografia d’autore, ma è uno spaccato artistico di ciò che il giornalismo vero dovrebbe fare (mostrare l’Italia agli italiani, spiegandola per iperbole e sintesi immaginifica, senza interpretazioni) e che non fa, perché gli scribacchini non hanno né la sensibilità, né l’umorismo né la competenza sociale di Santiago Mennella. La mostra va quindi vista ad ogni costo, per ritrovare una parte di se con cui si può convivere in pace e con un sorriso, specialmente in un momento di tensioni politiche e sociali come le stiamo vivendo. Una volta ancora la sensibilità di Marta e Wolfango tocca una corda socialmente fondamentale, con la delicatezza del filosofo per predisposizione di cuore, non per sovrastruttura scolastica. Passate un’ora lassù, vi sentirete come Bert dopo due settimane con Mary Poppins: malinconicamente sereni.

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