Ho discusso con degli alunni del 1° liceo classico di una scuola romana sulla cultura. Mentre li sentivo parlare riecheggiavano nella mia mente le invettive di Alessandro Cecchi Paone di tantissimi anni fa, quando si lamentava per il fatto che fosse stata premiata “Il Grande Fratello” come trasmissione culturale. Per costoro i più importanti testimonial della cultura italiana sono (li dico alla rinfusa) Valentino Rossi, Rocco Siffredi, Tiziano Ferro, Maria De Filippi, Fabio Fazio, Il Commissario Montalbano (non conoscevano il nome dell’attore protagonista e non avevano mai sentito nominare Camilleri), Terence Hill, Maurizio Crozza, Gianluigi Buffon. Non lo dico per sfottere, e non faccio paragoni con i miei miti a quella età. Questi ragazzi non hanno mai letto libri, hanno gravissime difficoltà con parole più lunghe di tre sillabe, non sanno declinare i verbi, non sanno usare le preposizioni, possono essere definiti come parlanti di italiano solo dopo aver seguito con passione (come ho fatto io) le lezioni di Gaetano Berruto all’università. Ed in questa sede non voglio nemmeno fare la solita solfa: a) costoro non possono essere assunti per nessuna posizione professionale, perché non solo non sanno far nulla, ma non sono in grado di impararla; b) sono terribilmente aggressivi perché non hanno vocaboli o perifrasi per descrivere le loro sensazioni; c) sono viziati in modo veramente fastidioso, ed hanno genitori (soprattutto mamme) che sono nella loro stessa condizione ma sono pronte ad uccidere per difendere i pargoli dal mondo che li circonda. I soli che reagiscono a qualche stimolo sono i ragazzi nati da genitori non italiani, specie se di origine asiatica o slava. Costoro parlano meglio l’Italiano, sono molto più svegli e consapevoli, sicuramente faranno più strada e con più merito. Ma non è nemmeno questa la cosa che mi interessa. Non sono nemmeno potenziali estremisti di destra: sputano su tutto e l’idea di combattere contro le armate islamiche li ripugna. La loro idea di cultura (e quindi di vita cui aspirare) è andare in TV, vincere dei soldi, e poi tornare nel quartiere da cui vengono e vivere al di sopra del tenore dei coetanei, godendo dei favori sessuali dei più belli o belle, guidando macchinoni e bevendo drink costosi. Niente vacanze di lusso (non conoscono nulla della geografia, non saprebbero dove andare), niente vita di società (sanno di essere estromessi per sempre dai consessi in cui l’abilità dialettica è un minimo rilevante), niente politica, niente sport (si fatica troppo ed è comunque tutto truccato). Mi pare evidente che questi ragazzi siano pericolosi per l’esercizio della democrazia e per la sopravvivenza della cultura. Non ripetetemi che la scuola dovrebbe, che la famiglia dovrebbe, che la politica dovrebbe. Sono treni persi che non partono più. La mia amica Carlotta Piraino si batte per dare loro un imprinting diverso quando sono molto più piccoli, ed io l’ammiro tantissimo per questo, anche se so che non avrei né le qualità né la pazienza per fare qualcosa di simile. A voi chiedo: cosa possiamo fare? Cosa dobbiamo fare? Di costruttivo, non di sarcastico o ironico. Se avete mai amato un ragazzino, un figlio, veniteli a vedere nello zoo in cui si preparano a non vivere, vi faranno (almeno a me lo fanno) un’immensa tenerezza, una rabbia irrefrenabile, schifo, paura, malinconia. Ma non basta. Da quando sono tornato a Roma vedo continuamente lavori teatrali stupendi che quasi nessuno vedrà mai. Sarebbe bellissimo poterli confrontare col teatro, che è più violento, diretto, non mediato di qualsiasi altra cosa. Ma come si fa? Cosa possiamo fare? Cosa fare per coloro che sono rimasti col cerino della barbarie in mano?

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