La crisi della Grecia riempie nuovamente le pagine dei giornali, e si affolla l’etere di coloro che si arrabbiano con i nostri vicini… Nelle conversazioni private, uno dei miei post sulla fine del capitalismo è stato molto criticato, e su un punto con ragione. La base del capitalismo è il plusvalore. Il plusvalore, scrissi, si capisce subito. Compro un Euro di chiodi, un Euro di legno e costruisco una sedia, che vendo a tre Euro. Quell’Euro di guadagno, scrissi, è il valore aggiunto, che prima non c’era. Questo esempio spiega la teoria del plusvalore (spero), ma non da contezza della realtà, che invece ha il seguente aspetto: compro un Euro di chiodi, un Euro di legno, prevedo un Euro per pagare la forza lavoro (me stesso), un Euro per pagare le spese (affitto locali, ammortizzamento martelli etc.), un Euro per il trasporto, un Euro di tasse dirette, un Euro di imposta sul plusvalore (IVA), quindi vendo a sette Euro. Poi arriva una ditta estera, che non paga le tasse dirette, e le vende a sei. Poi arriva una catena di supermercati, che non paga le tasse ed ha sconti sui trasporti e sull’IVA, e le vende a cinque. Poi finalmente arriva una grande azienda multinazionale che controlla la produzione di legno e chiodi di un Paese, fa il trasporto in proprio, non paga le nostre tasse ed elimina la manodopera dal processo produttivo – e vende la sedia a 3 Euro, guadagnandone due – quindi il doppio di quanto ci guadagnassi io. Quindi io fallisco e non ho più un lavoro. Siccome io fallisco, fallisce la ditta di trasporti, ed uno dopo l’altro falliscono il venditore di chiodi e quello di legno. Dato che non abbiamo più un soldo, non solo non compriamo sedie, ma nemmeno cibo. Per sostenerci, lo Stato aumenta le tasse e strepita sul fatto che ci sono troppi evasori e che lo Stato, per aiutarci, faccia troppi debiti. Arriva la Banca Centrale del Paese della multinazionale che ci ha annientati e ci presta i soldi necessari per sopravvivere per sei mesi, ed in cambio ci chiede di chiudere o di vendere le industrie che ancora funzionavano. Noi lo facciamo. Lo Stato usa le tasse (che ovviamente diminuiscono, non importa quanto alzino le aliquote) per pagare il debito con le banche estere, noi facciamo la fame – e lentamente l’impresa multinazionale entra in crisi, perché noi non compriamo più sedie, quindi licenzia. La Grecia non ha colpe. Dal 1973 ad oggi il capitalismo funziona non più sulla creazione del plusvalore, perché l’innovazione tecnologica e la corsa globale alla riduzione dei costi hanno eliminato il salariato (la forza lavoro) dal processo di produzione – e quindi hanno eliminato chi comprava. L’unica cosa che pareva funzionare era la spinta all’indebitamento degli Stati. Una volta si stampava tanta valuta quanto oro in cassa, oggi si stampa tanta valuta quanto grande la cifra d’affari totale (non il PIL). Quindi, più grande il debito, più soldi in circolazione, più le persone assistite, che non avranno mai più un lavoro, ma che hanno soldi. Il salariato è la sostanza del capitalismo. Senza salariati nessun acquirente. In una società dei servizi, uno stipendio non può più essere collegato al plusvalore, se non si cambiano le regole fondamentali del gioco. Quindi rendete grazie all’indebitamento, sapendo che si tratta di una trappola mortale che, per un poco, ci regala da mangiare. La Grecia non ha colpe, se non quello di essere un Paese piccolo e completamente deindustrializzato. L’Italia è ancora molto più forte – a meno che il governo non continui a vendere le industrie, non le costringa a chiudere, non ammazzi tutti di tasse. Ma se non lo fa non ha soldi da dare a chi, invece di creare plusvalore, lo consuma. Non sarà magari il caso, dato che l’economia è una convenzione e non esiste in natura, che la smettiamo con questa sciocchezza del capitalismo e non cerchiamo di creare altro? No, non intendo il cosiddetto modello socialista, che era un modello capitalista in cui la formazione dei prezzi era decisa dallo Stato e creava un’altra serie di problemi che per brevità non elenco. Nemmeno parlo della decrescita felice o altre teorie interne al capitalismo. Parlo di qualcosa che non c’è, perché sarebbe ragionevole – e l’essere umano odia essere ragionevole, quando c’è il rischio che il proprio orticello non ottenga vantaggi immediati ed antisociali.

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