Ogni generazione ha i suoi cantautori, ed è quasi impossibile riuscire ad innamorarsi in artisti di decenni diversi, perché certe frasi ci colpiscono al cuore quando le ascoltiamo per la prima volta, ciò che colpiva quelli prima di noi ci sembra noioso, ciò che colpisce oggi ci sembra demente. Ascolto Umberto Bindi e Calcutta, che sono agli antipodi dei miei 60 anni di vita, e naturalmente penso che costoro, paragonati a Gaber e De André, siano poco. Ma non è vero. Ognuno di noi ha uno spazio limitato nel cuore, ed è sempre più difficile fare spazio nuovo. Eppure tra Luigi Tenco e Samuele Bersani vedo grandi differenze di stile, ma una sola linea, stupenda. La scuola italiana rimane una delle migliori al mondo, insieme a quella francese, per la sintesi tra testi e melodie – e, negli ultimi 25 anni, la scuola tedesca. Ma, ovviamente, non posso dir nulla sulle culture che non conosco. Ed allora direi che sia necessario ampliare la stupenda frase di De Gregori in “Cuore di cane”, un brano scritto per Fiorella Mannoia: imparare le lingue degli altri è imparare ad amare. Che fortuna che ho avuto, allora. Non importa che, come nella canzone, io, da soldato, sia tornato a casa che nessuno lo aspettava più, perché era cambiato troppo. Sono io, che in quel contesto, non ci entro più, e non solo per la mia pinguedine. Sicché, alla fin de la fera, le uniche due musiche che sono nel cuore di tutti, sono l’opera ed il jazz. Ma ci vuole tanta vita per impararlo, e le ragazze, come dice Paolo Conte, generalmente odiano il jazz, anche se non se ne capisce il motivo. Eppure, sorelle e fratelli, cosa saremmo senza la musica che amiamo, che ci ricorda chi siamo, che ci riporta a chi amiamo o amammo, che ci contiene senza soffocarci? Per un dono simile, che salva tutta l’umanità, il prezzo di alcuni artisti morti o impazziti è irrisorio.

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