Un silenzio spettrale. Mi aggiro per le stanze e mi pare che non ci sia più nessuno, come se tutti fossero fuggiti nell’attimo in cui mi sentivano arrivare. Restano i terapeuti, il personale che rende questo posto degno di viverci, tutti che sorridono affettuosi, con pietà ed apparente partecipazione. Il mal di testa mi tortura. Per risolverlo hanno assunto un terapeuta di Terango, prepotentemente alto, glabro, bianco. Con delle mani che sembrano le eliche di un DC9 mi solleva spalle, poi gambe, apparentemente senza sforzo, accompagnando il tutto con il mantra tipico delle foreste del Yen-Xho, piene di fiori lilla implosivi e marmotte rettili dalla lingua di fuoco. Ma dopo che mi ha malmenato per quasi un’ora il mal di testa è passato. Altrimenti passo un’ora di fuoco con il Sergente Hartmann. Mi rendo conto con gratitudine che mi erano mancate tantissimo le terapie con lei – per l’intelligenza, la simpatia e per l’enorme bravura. Dopo il linfodrenaggio mi sento una persona diversa, scendo correndo le scale, la pressione cala d’incanto. Mi accorgo che, fin quando mi comporterò con affettuosa demenza senile, tutti faranno a gara per farmi una coccola, dirmi una buona parola, incoraggiarmi. Ma già a pranzo si intravede la verità nascosta dietro il sipario di luce: marcita di licheni su sterco di capra desalinizzato, una consistenza che non vi dico. Poi cubetti di puzzola tartufata in salsa di curry, nepetella in umido e santoreggia in salmì. Profuma di vattene alla svelta e sa di te l’avevo detto. Alla fine baluginata di mele mosce con tritato di pinoli nani della Cecenia. Due pinoli due, perché raccoglierli in zona di guerra mette a repentaglio la vita dei paesani e quindi costano 250 Euro al grammo. Con questo testamento genetico sullo stomaco trascorro alcune ore di ebete vacuità sull’orlo della splendida valle che sottende al Monte Titano. Sotto di me partono ed arrivano le astronavi interstellari, trafficano le piccole tenere corruttele locali, gigioneggiano truculopitechi dall’accento meneghino, menevanto e menefrego, pascolano sgrinfie ipertaccute, tramontano soli solitari, invernali, preistorici nella maestosa bellezza. Non so cosa fare, oltre a lavorare. Avere il vuoto intorno non mi fa nemmeno sentire importante. Dove sono le aspre gianduiotte, i marachellanti d’estate? In TV non fanno che trasmettere la faccia di Matteo Renzi mentre pensa alla natura intrinseca del Ciocorì, un gol della Roma a Udine ed un chitarrista coi capelli bianchi, un loop interminabile di cui non cerco di capire il senso. So solo che in conseguenza di queste immagini le borse crollano e i cocci sono i nostri. Lavoro alcune ore come in una realtà sospesa, mi ritornano in mente i viaggi interminabili tra Andromeda e l’Oggetto di Hoag – la galassia del pianeta Ork. Nemmeno i clienti mi chiamano. Oggi è la Befana, mi dico, ma le mie calzette stamani erano vuote. Qui, intorno a Sarsina e San Leo, alle braci dei druidi di Monte Poggiolo, le scope non volano. A dire la verità qui non vola più nessuno. Dopo la chiusura dell’Aeroporto di Forlì, ora è fallito quello di Rimini. Impossibile! Vi transitavano quasi 5mila russi a settimana, come diavolo hanno fatto a fallire? Chi diavolo insozzerà la spiaggia la prossima estate? A capo chino raggiungo la sala per la cena. Crema di banconota da 500 Lire con bruscoli di alopecia. Demoniaca. Braciola di tapiro nano delle cloache del Savio (detto anche Topo Riminensis) con mousse brulicante di girini piangenti, mela moscia annerita con la cannella. Ed ora sono qui. Se è vero che l’inferno è lastricato di buone intenzioni, è vero anche che l’autostrada per il Paradiso è asfaltata a colpi di dolore, solitudine e smarrimento. Come disse Leopardi, procomberò sol io. A domani.

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