– E’ morto Giuliano Bignasca. Il fondatore della Lega dei Ticinesi, lo scalpellino cocainomane che il padre, che lo viziava, definiva un buono a nulla (e lui soffriva), l’uomo che si permise di entrare in Parlamento a Berna, neoeletto, in ciabatte e calzoncini corti militari. Un uomo di un’ignoranza abissale e voluta, una volgaritá congenita, acuita dal forte consumo di droga, e sfogata con una rabbia ed una xenofobia da caricatura fumettistica. Ma anche il “Nano”, l’ometto solo, con evidenti problemi di potenza maschile ed un disprezzo congenito per le donne, che si faceva prendere in giro da tutti – e specialmente da Flavio Maspoli. Ha fatto la fortuna di faccendieri come Marco Borradori, il figlio del grande Elio (e nipote del mitico Giordano), decano dei riciclatori ticinesi degli anni eroici – fighetti di una Lugano “bene” infigarda, tronfia, meno che provinciale, che odia i Lumbard come una sottospecie di subumani meridionali parenti (e per questo serpenti). Ha creato dal nulla (e sostenuto nel loro vuoto di contenuti) la carriera politica e professionale di tantissima gente che, sfruttando la sua immensa popolarità e le sue idee geniali (come bloccare contemporaneamente la cantonale e l’autostrada a sud di Lugano, all’altezza di Melide, dove non esistono strade alternative, per chiudere l’Italia fuori dall’Europa) ha svoltato una vita insipida in una carriera nazionale… Ne scrivo con pietà ed affetto, perché lo conoscevo personalmente. Ho lavorato per anni come cronista sportivo per il suo settimanale, “Il Mattino della Domenica”, una sorta di “Libero” ante litteram, di cui il Nano scriveva da solo quasi la metà. La gente lo adorava o lo odiava perché diceva tutto apparentemente senza pensare, con la difficoltà di chi, a causa della droga, non riesce a pronunciare bene le parole – e poi ti accorgevi della mente sveglia e strategica che stava dietro. Fregava tutti, disonesto fino al midollo, ma capace di una generosità sorprendente. Un uomo travolto da tutto che, grazie ad un’intelligenza vivace, ha fatto ciò che poteva, divenendo genio del male per la paura di non poter essere mai accettato come uomo buono. Era difficile arrabbiarsi con lui, perché era talmente trasparente… il simbolo dei nostri anni inquieti di frustrazione impotente, di dipendenza malinconica. Nano Bignasca non aveva bisogno di millantare lauree, non era uno squallido accoltellatore alle spalle, era uno che costruiva, che era stato appunto scalpellino e ne era giustamente orgoglioso. Fra tutte le canaglie, ladri, assassini, politici ridicoli che fermano il declino o rivoluzionano civilmente, che saltano di partitino in partitino con la moda dello scilipoting, che ho incontrato (cazzabbubboli, direbbe Rugantino) Giuliano Nano Bignasca è stato altra classe: un datore di lavoro, avversario politico, cinico ticinino, omino buffo delle favole, che ricorderò con affetto. Era così sputtanato che non si sputtanava mai. E ti guardava dritto negli occhi. Mentre mi giunge la notizia della sua morte, leggo che il Prof. Zingales è pronto a prendere il posto di Oscar Giannino alla guida di Fermare il Declino. Che senso di vomito. Ma non è un’epoca di leoni, la nostra. Per questo il Nano ci ha lasciato. Ed ora vediamo cosa fanno le decine di fascisti di merda, nullafacnti boriosi e trepidi della schifosa Lega dei Ticinesi, che lui manteneva in vita, per sentirsi meno solo.

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