– E’ partita stasera la kermesse “Ubu Rex 3″ al Teatro dell’Orologio. Una prima giornata veramente interessante, specie per chi, come me, non ha grandi conoscenze del teatro indipendente italiano. “L’Asino Albino” di Andrea Cosentino è un miracolo di comicità intelligente, si ride senza pause per un’ora, ma poi alla fine ti accorgi che Cosentino ha parlato seriamente di cose persino pesantemente importanti: il senso del tempo rincorso o visto scivolare via, nell’opposizione tra il vecchio padre, l’asino albino morto, il terrorista che ha passato 6 mesi nella lotta politica, 25 anni in prigione ed ora non riesce nemmeno a vivere una realtà “altra”, il borgataro che fuma e succhia mentine per ingannare il tempo e poi l’eroe, simboleggiato da un epico e trionfale, statuario e meraviglioso asino-uomo, che dice al padre: Io ce l’ho un progetto, quello di non crescere mai! Detta così sembra una cosa banale, ma il caleidoscopio di personaggi vorticanti che, alla fine, allo schiocco delle dita di Mary Poppins, rientrano bravi bravi nella scatola dei giocattoli, rappresenta una panoplia di strategie tutte tese allo stesso scopo: ingannare il tempo, ricostruirsi una realtà vivibile nella consapevolezza della morte e dell’alienazione, cercare nel bambino che ognuno porta in se quella boa che ci tenga ancora a galla mentre tutto il mondo va a fondo. Bellissimo. Il secondo spettacolo della serata è stato “XXX Pasolini” di Fabio Massimo Franceschelli, un altro lavoro (il terzo che vedo quest’anno) ispirato in qualche modo a “Petrolio” di Pasolini. Va detto subito che l’estetica di Pasolini non mi piaceva allora ed oggi mi sembra desueta e superata, detratto anche il contesto di grandi intellettuali in cui si misurava: Buzzati, Longanesi, Moravia, Albonetti, Malaparte, Calvino, Parise, Palazzeschi, Flaiano, Colette Rosselli, e tutto il sostrato di intellettualismo italiano che ha contribuito non poco a cambiare la società e la prospettiva dalla quale la guardiamo oggi. Ma Franceschelli va un metro buono oltre, iniziando proprio da lì. Lui incontra il fantasma di Pasolini e si ritrova con in mano uno scritto proprio che lui non ha ancora redatto. E finalmente l’estetica é un’altra: gelida, severamente intellettuale (su questo ritornerò), con una pubblicità dello shampoo derivato dal petrolio scarna ma lo stesso veloce, efficace, divertente. Tutto lo spettacolo risulterà così. I personaggi hanno qualcosa di vero da dire e cercano nell’ironia e nel sarcasmo l’uccisione di quel pathos che rende troppo spesso la cultura italiana più vicina al mito mafioso e mammone dello Zappatore che alle necessitá di una democrazia moderna e postindustriale. Per questo tutto quell’intellettualismo, penso io… la geografia di Franceschelli è ultraterrena: è fatta di citazioni letterarie, non di luoghi, tutto viene immediatamente trasposto nell’ufficio glabro ed a luci soffuse di una caserma dell’al di là, nella quale i sentimentalismi terragni sono solo etnologia. E’ una cosa nuovissima per me, per me che non ho distanza alcuna tra ciò che penso e ciò che rappresento. Ma la sostanza politica di un discorso estetico (e lì secondo me Franceschelli supera Pasolini, senza voler essere eretico) è immanente al momento in cui si vive, ai suoi canoni semantici, e l’unica distanza moralmente accettabile non può essere l’ironia, ma il sarcasmo e l’assenza. In quel modo XXX Pasolini avverte con rabbia il pericolo dell’uso scorretto dell’eredità di Pasolini. Oggi conosciamo tutti le contraddizioni dell’ENI e della politica. Oggi viviamo la sessualità in modo più liberato della generazione di Pasolini. Ma siamo lo stesso più schiavi di allora. Franceschelli, in modo più che convincente, invece di indicare messianicamente una soluzione, ci riporta con rigore al metodo. E ci fà vedere che essere intelligenti non vuol dire annoiare, ma avvincere.

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