– Scrive Davide Giacalone, e condivido pienamente: “Non manca la copertura, manca la vergogna. Il Senato, in sede di conversione del decreto “Destinazione Italia” (nomignoli a misura di vuoto), aveva approvato un emendamento che stabiliva il blocco delle cartelle esattoriali in capo a soggetti aventi, con la pubblica amministrazione, crediti commerciali equivalenti o superiori. Lo abbiamo dettagliatamente raccontato, specificando che l’emendamento era stato presentato dai parlamentari del Movimento 5 Stelle, nonché fatto proprio dai relatori. Avevamo anche spiegato perché si trattava di un passo in vanti, ma non sufficiente. Suggerendo ulteriori modifiche, di buon senso. Invece vogliono cancellare anche quel poco. Lo scempio potrebbe avvenire domani mattina, alla riapertura della Camera dei deputati. E’ successo, infatti, che la Ragioneria generale dello Stato ha eccepito la mancata copertura e, come già avevamo avvertito, che quel meccanismo di blocco avrebbe fatto calare il gettito 2014. Immaginando l’obiezione, l’avevo prevenuta. Ma è obiezione tanto fondata quanto improponibile, perché implica che lo Stato pretenda di non pagare quel che deve e, al tempo stesso, pretenda di avere quel che gli è dovuto. Lo so che è esattamente quel che accade, ma è anche intollerabile. Presuppone uno Stato baro, che usa la forza per violare i diritti dei cittadini e venire meno ai propri doveri. Siccome però, lo ripeto ancora, l’obiezione è fondata, come si può affrontare il problema? Facendo la sola cosa che è comunque necessario fare: tagliare le spese. Rimandando all’infinito il giorno in cui si comincerà seriamente a farlo non otterremo altro che tagliarle tutte insieme e quando non ne trarremo il giovamento correlato. Lo faremo per disperazione e traumaticamente. Invece va fatto (lo si sarebbe già dovuto fare) con gradualità e ponderazione. Ma tagliando, non limando. Quel mancato gettito, determinato dal fatto che lo Stato deve dei soldi ad aziende e professionisti, diventa, a un tempo, testimone di giustizia e preveggenza, innescando la salvezza futura. Cosa hanno in mente di fare? Di imboccare una strada del tutto diversa: fanno saltare il blocco e inseriscono la “compensazione”, che sembra la stessa cosa e, invece, è quasi l’opposto. E’ vero che compensando debiti e crediti si otterrebbe lo stesso risultato, ma si provocherebbe anche il medesimo ammanco. Il trucco sta nel fatto che la compensazione non si potrà fare finché non ci sarà il decreto attuativo, che, del resto, il governo dovrà emanare tenendo conto della necessità di garantire gli “equilibri di finanza pubblica”. E’ un imbroglio. Vedrete che il decreto non arriverà in 90 giorni, ma se la prenderà comoda. Conterrà la necessità di trattare la compensazione con gli uffici del fisco. Poi gli squilibri porteranno alla deroga. Se proprio andrà bene si dovrà pagare subito il dovuto e accettare la rateizzazione o posticipazione del preteso. Ma deve andare bene, perché partirà subito la minaccia delle verifiche fiscali, si entrerà nella vergogna che per potere compensare si dovrà essere sottoposti a esami clinici. Che non solo sono una minaccia in sé, non solo intralciano l’attività produttiva, ma durano mesi. Quindi: 90 giorni (a dir poco) per il decreto; 2 mesi per la trattativa con il fisco; 4 mesi per la verifica. Fanno nove mesi, e visto che siamo a febbraio ne deriva che tutto questo andrà a pesare sul bilancio 2015. Che, lo ricordo agli zuzzurelloni che immaginano di votare, è anche quello in cui si comincia a ballare con l’orchestra del fiscal compact. Due considerazioni finali. La prima: i problemi di finanza pubblica sono reali, mica dei pretesti, e chiunque ragioni con senso di responsabilità deve porseli, non considerandoli solo del governo. Ma se quei problemi si affrontano aumentando le pretese fiscali, per giunta, come in questo caso, sconfinando nell’inaffidabilità dello Stato, vuol dire che al governo non ci sono i buoni o i cattivi, ci sono gli incapaci. Questo genere di stabilità, lo ripeto da mesi, è velenosa. La seconda: il voto deve per forza farsi lunedì perché poi l’aula deve essere pronta a discutere il sistema elettorale, orrendamente denominato “Italicum”. Vedo lievitare uno spettacolare dibattito onanistico, con affermazioni strampalate e destinato a negare l’evidenza: il nuovo e il vecchio sistema si somigliano come i figli della stessa orgia. Ma non è questa la seconda considerazione, bensì: se per liberare il binario all’Italicum si fa passare la descritta porcata fiscale, appena successiva alla stellare maialata della Banca d’Italia, quel treno si chiamerà presto Italicus. Tristemente noto per una strage. Galera ai terroristi bombaroli, ma dal treno vogliamo scendere. Subito”.

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