Sergio Salvioni è morto. Non ho idea di cosa scriverà la stampa ticinese, forse poco o nulla, perché quello è un Paese che non ha pietà. Per questo mi permetto di dire la mia. Perché nel mio cuore so di averlo conosciuto davvero, e di aver speso con lui ed i suoi figli Niccolò e Daniela una stagione meravigliosa, indimenticabile, irripetibile. Una stagione che mi ha cambiato per sempre, perché lui e suo figlio mi hanno donato una seconda vita, cui non avevo diritto, e lo hanno fatto per puro affetto. Era un uomo ostinato, apparentemente granitico, un aristocratico (a suo modo), dotato di un’energia sovrumana e quindi capace di ire invereconde e di sorrisi che ti annegavano il cuore. Una furia, orgoglioso del proprio pragmatismo e del proprio carisma, uno schiacciasassi che travolgeva chiunque gli si mettesse davanti. Ma era anche un ragazzino sfrontato e ribelle, pieno di senso dell’umorismo, che te lo aspetti dietro ad un muretto che grida booh alle vecchiette per spaventarle. Aveva delle passioni entusiastiche, e Niccolò, che di natura è più riflessivo, prudente ed analitico, spesso doveva correggerne l’euforia creativa, ma rendeva le giornate eccitanti e (grandissima dote) non cercava mai di cambiarti, ti prendeva come eri, magari mugugnando o sfottendo. Piango lacrime di coccodrillo, perché non andavo a trovarlo da anni. Ma piango lacrime vere, di dolore, perché mi voleva bene e questo mi riempie di orgoglio. Perché mi ha dato la possibilità di imparare tutto ciò che Niccolò, con la pazienza affettuosa di un fratello grande, mi ha insegnato per sopravvivere. Uno dei più grandi difetti della sua terra è l’indifferenza generata dall’egoismo. Sergio Salvioni era l’opposto, esattamente come lo sono i suoi figli. Il Ticino, oggi, è un posto ancora più misero.
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