L’amore per un figlio lo si impara, e dopo che lo hai imparato, permea tutti gli altri rapporti affettivi. É come acqua che passa sotto una porta chiusa, e lentamente riempie una stanza. Ma al contempo ti fa spuntare le branchie, che altrimenti affogheremmo. Credo che siano molti coloro che trovano un pertugio per uscire dalla stanza prima che ciò accada. Credo che siano moltissimi coloro (uomini e donne) che, di avere un figlio, non si accorgeranno mai, considerandolo una bestiola da accompagno ed innervosendosi se non obbedisce. Dopodiché viene una fase in cui, non avendo ancora le branchie, cerchiamo di spiegare al figlio che deve essere come noi, perché abbiamo un disperato bisogno di avere almeno una persona al mondo che creda che noi siamo ok, quando invece facciamo piuttosto schifo. Anche questo è un oblò che serve ad uscire dalla camera che si allaga d’amore. L’amore per un figlio, se esiste, è scevro dal bisogno – mentre il figlio ha bisogno dei genitori. Per questo crescere un figlio è una lezione: imparare a dare sapendo che, se sei bravo ed onesto, non riceverai indietro nulla, perché la relazione è sbilanciata – tranne per l’eventuale affetto che, una volta che l’hai imparato tu, devi dare tempo al figlio di imparare a sua volta, avendo tantissima pazienza, ma anche risolutezza, solidità, credibilità. Ci vuole insomma tanto tanto tempo, ed io lo sto imparando da nonno, che come padre sono stato un vero dilettante, anche perché ero occupato con mille altre cose. Ero ancora convinto che l’amore per una donna, contaminato dal testosterone, dalle proiezioni, dall’infantilismo, dal bisogno reciproco e dal narcisismo, avrebbe potuto migliorare qualcosa nel mio rapporto con me. Sappiamo tutti quale orrore ne scaturisca (oppure no, non lo sappiamo, perché facciamo tutti ancora ed ancora gli stessi sbagli), e quanto ciò danneggi l’amore per un figlio. Ma c’è una seconda ed una terza chance. La seconda: il momento in cui, da figlio, ti accorgi di avere la stessa età di tuo padre, di aver fatto sbagli simili, e te lo senti fratello. La terza: il momento in cui tuo figlio, o altri figli che si incontrano per strada (padri non ce ne sono quasi più, è facile voler bene ai milioni di orfani disperati e perplessi che vagano per le nostre strade), ci dà la possibilità di rientrare in quella stanza da cui scappammo, e di affrontare l’acqua che allaga tutto. Ecco. Io sto aspettando le branchie, fiducioso ed allegro. Sono anch’io papà e nonno, adesso. Alla facciaccia mia.
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