– L’anno che si sta chiudendo è stato, per la cultura, uno degli anni più difficili di ciò che oramai é quasi assurdo chiamare dopoguerra. Sulla spinta nata dal collasso dei sistemi coercitivi che imperavano nell’Europa del primo dopoguerra, persino le nazioni più violente e repressive, come la Svezia, la Germania e la Gran Bretagna, hanno visto un florilegio quasi inarrestabile di culture “altre”. Per contro nei Paesi che erano stati la culla della cultura europea (Grecia, Italia, Turchia), l’intero 20° secolo é stato ricco soprattutto sotto la cenere. Eppure anche da noi gli anni 50, 60 e 70 hanno registrato un’esplosione di cultura alternative, che oggi è oramai classica: Parise, Montale, Buzzati, Pavese, Fo, Gaber, De André, ma potrei continuare per decine di righe. Ora però la porta si è chiusa. Si é chiusa per una serie di motivi: negli anni in cui la cultura alternativa é stata egemonizzata dal Partito Comunista, gli Enti locali sono divenuti il promotore culturale principale del Paese, in una spinta che ha dato spazio, valore, supporto. Ora le amministrazioni locali sono con l’acqua alla gola, ma soprattutto la differenza che esisteva 40 anni fa tra gli amministratori “rossi” e gli altri é scomparsa – così come è scomparsa la spinta alternativa del Partito Comunista. La sconfitta vera della cultura è tutta lì. Oggi si finanziano spettacoli dei quattro nomi noti attraverso la TV, dei quattro sopravvissuti fisicamente agli anni 70, del riciclo della letteratura ufficiale e noiosa – con l’eccezione, almeno a Roma, delle scelte coraggiose dell’Auditorium. Quaranta anni fa il Banco del Mutuo Soccorso, le Orme e Francesco Guccini erano avanguardia. Oggi sono vecchie glorie che sono ancora qui perché non c’è nessuno che li abbia sostituiti. E non sono stati sostituiti non perché non esistessero artisti validi, ma perché quegli artisti non hanno ottenuto spazio in TV o, se lo hanno ottenuto, si sono lasciati snaturare. Far ridere, far ridere, far ridere, non far mai pensare. Sicché oggi, in base al riconoscimento di fatto che l’offerta culturale ufficiale è scadente, tanto vale rinunciare a farne. Tanto c’è la TV, che produce Checco Zalone et similia. In base a questo dato, invece di investire coraggiosamente sull’educazione alla cultura, tanto vale tenersi Zalone, proporre Claudio Baglioni a Natale che canta le cover di se stesso dopo la sua trasformazione chirurgica in Big Jim, smettere di fare cultura con la giustificazione che tanto la societá civile non ne produce più. Come diceva Gabr, la vera cultura è segreta. Proprio per questo noi, nel nostro spettacolo, proponiamo una Borsa Nera delle Idee. Ma oggi, conversando con un amministratore locale, ho scoperto che il suo Comune (di sinistra!) sosterrebbe una cosa del genere solo se è passata con successo in TV, se fà ridere e se è legata ad un evento mangereccio. L’ora di lamentarsi? Macché… è l’ora di far vedere a lor signori che la sinistra italiana è reazionaria, e che la cultura segreta, invece, ha ancora forza e voglia di esplodere – e la capacità, che sgorga dalla repressione dei sentimenti e della libertà.

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