In queste ore, 47 anni fa, guardando la TV, vidi per la prima volta Françoise Hardy cantare. “Comment te dire adieu”, cantava. Mio papà mi spiegò che nella canzone lei voleva lasciare il fidanzato ma non sapeva come fare. Nei miei ricordi andai a dormire e mi misi a piangere, perché pensai che non l’avrei mai incontrata e che invidiavo il tizio che lei voleva lasciare, perché almeno per un momento l’aveva stretta fra le braccia. Ora, ripensando a quella sensazione nello stomaco, mi viene da sorridere. Naturalmente l’ho incontrata e la incontro di nuovo ogni volta che vado a sbattere contro una donna che assomiglia a lei o ad Anouk Aimée. Occhi e capelli neri come mantelli di tristezza, magrissime, un sorriso sghembo ed insicuro, le braccia sempre conserte, per evitare il contatto, che ti guardano solo di sottecchi e solo per pochi millisecondi, la cui unica reazione pare essere: come fare ad allontanarlo con gentilezza? Oramai so di quanto di ciò sia solo una proiezione ed ho imparato che ogni persona è unica ed irripetibile. Quanto alle donne che adoro, temo di averle adorate da ancora prima di nascere, che io sia stato insomma costruito con questo meccanismo nel cuore. Il che è molto più di una promessa di fedeltà, è una natura tecnologicamente irrevocabile. Oramai Françoise Hardy ha 71 anni, ed è ancora bellissima. Vederla non fa male per nulla, anzi. Va bene così. Ho vissuto anch’io, ed é andata benissimo. Magari lei mi avrebbe devastato, come dice qualcuno che conosco bene e che ama questa parola per descrivere ciò che certamente si prova stando insieme a me. Invece oggi, seguendo l’esempio mitico delle mie sorelle stupende Elisabetta e Sara, ho mangiato solo mandarini e sono andato a nuotare, per la prima volta dopo cinque anni. Come era? Come disse Dustin Hoffmann a Valeria Golino: “Umido”.

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