Sull’onda delle emozioni (legittime) legate a ciò che è divenuto verità ufficiale sui fatti di Parigi, da molte parti si chiede un maggiore controllo sulla popolazione, invocando l’uso dei moderni metodi più sofisticati di osservazione. Per contro, tra i democratici più convinti, da anni si lamenta la fine della privacy e la violenta violazione della sfera privata di ciascuno di noi da parte delle forze di Polizia, dei servizi segreti e persino dei media e delle aziende commerciali. Una piattaforma come Facebook ne è l’esempio più facile da descrivere: su una serie di computer coordinati centralmente, centinaia di milioni di cittadini di tutto il mondo hanno registrato tutto di se stessi: dati, descrizioni, foto, legami, gusti, opinioni. Queste persone contrarie, coerentemente, si rifiutano di iscriversi a Facebook e lottano per evitare di essere “taggate” su foto pubbliche. Vi spiego perché io, invece, che opero professionalmente in un settore estremamente delicato, non solo continuo ad essere presente su Facebook, ma ho messo a disposizione di tutti foto ed opinioni senza nessuna remora apparente. Per prima cosa perché ritengo inutile il dibattito sul tema “più controllo”, dietro il quale di nasconde invece il vero tema “più libertà da parte dei regimi di Stato di utilizzo legale dei dati già comunque raccolti”. La Polizia ha in mano tutto, ma di questo tutto, molto non può legalmente usarlo. La paura fa in modo che qualche politico abbia ora la speranza di poter cambiare questo stato di cose e rendere legale l’arbitrarietà del controllo a tappeto. Senza scomodare Polizia e servizi segreti, vi spiego come si fa a sapere i fatti di tutti e scavalcare il concetto corrente di privacy senza violare alcuna legge e senza usare sistemi spionistici. Se siete su Facebook e su Linkedin (una piattaforma che mette in contatto aziende e persone che cercano lavoro su scala globale) in pochi minuti saprò molto di voi, Aggiungo un controllino su Cerved e su Catasto.it, tramite le quali piattaforme pubbliche si possono estrapolare i dati sulle vostre proprietà e dichiarazioni delle tasse. Se foste negli Stati Uniti, usando Zabasearch potrei sapere (gratis) indirizzi e numeri di telefono da voi avuti dal 1980 in poi, più quello dei vostri parenti. Saltando da Zabasearch su Intelius posso sapere dove abitate, quanto pagate d’affitto, come vi guadagnate da vivere, quanto prendete, chi vive con voi, cosa fa, chi sono i vostri vicini. Con una sovrattassa posso tenere sotto osservazione, via satellite, la vostra porta di casa per 24 ore. Attraverso EuroDB e Nexis Company posso controllare se avete società in qualunque parte del mondo, con una sottofunzione di Nexis posso leggere tutti gli articoli di stampa, usciti non importa dove, dal 1988 in poi, in cui sia stato pubblicato il vostro nome. La Polizia può di più: controlla il vostro conto bancario, i mutui, registra le vostre telefonate, colleziona la vostra posta elettronica, segue la vostra auto. Come sapete, oggi con un’applicazione del cellulare, basta spingere un tasto per comunicare all’azienda dei taxi dove siete, e costoro vi invieranno un impulso che vi lascia seguire i movimenti del taxi che sta venendo a prendervi. Questo lo si fa in automatico con chiunque venga considerato “interessante”. Se evitate di telefonare e rimanete all’aperto, qualora siate stato considerato “interessante” sarà possibile registrare le vostre conversazioni con microfoni direzionali potentissimi. Fino a 20 anni fa il problema era: chi diavolo si metterà a leggere le tonnellate di materiale raccolto su chiunque di noi? Oggi l’elettronica ha risolto in gran parte il problema, e algoritmi appositi filtrano le notizie ed interconnessioni più interessanti e le mettono in correlazione in documenti esplicativi semplici e concisi. Rispetto a ciò, i servizi segreti possono un po’ di più, ma queste sono cose che non mi racconta nessuno. Per capire, valga comunque il tentativo del Ministro degli Interni tedesco Wolfgang Schäuble, che da anni si batte per obbligare la gente ad accettare un chips sottocutaneo che renderebbe ciascuno di noi completamente tracciabile e trasparente in qualunque momento (e probabilmente eliminabile, perché nessuno può farmi credere che quei chips non possano essere usati per far male a qualcuno, visto che oggi si può sparare un missile da 500 km che colpisca in testa la persona contro la quale è stato mirato). Allo stesso tempo da questo incubo è possibile sfuggire con meno fatica di quanto si pensi. Dato che queste informazioni sono ufficiose, basta cambiare il proprio nome e cambiare domicilio senza dirlo a nessuno, ed ecco che siete scomparsi dal radar, riapparendo come un’altra persona che, in realtà, non esiste. Finché vivete nell’ombra, nessuno vi troverà, nessuno ci cercherà, nessuno vi identificherà. Ma se volete una pensione, conservare legami sociali ed affettivi preesistenti e mantenere le comodità burocratiche cui avete diritto, non esiste scampo. Nessuno scampo. Ma essendo presenti ed attivi, naturalmente, in minima ed ingenua parte influenzate l’immagine di voi stessi sui dossier più o meno segreti. Se continuo a scrivere su Facebook che sono tifosissimo della Lettomanoppellitana, prima o poi la Polizia lo darà per scontato. Diventerà vero. E qui inizia il vero pericolo, di cui molti di noi non hanno coscienza. Dal momento che non esiste più la verità, ma l’apparenza ufficiale, e dal momento che si può influenzare direttamente cosa appaia sui social network, il nuovo grande assassino si nasconde altrove. Si tratta dello strumento di disinformazione mirata, perfezionato negli anni 30 dai sovietici e dai nazionalsocialisti, e poi portato a nuove vette financo filosofiche dal Piano Propaganda Due di Licio Gelli. Faccio un esempio. Scrivo le mie minchiatine e gente di Casa Pound mi commenta i post con entusiasmo, ragazzine scosciate mi chiedono l’amicizia, e pian pianino salta fuori che sono strettamente legato agli ambienti dell’estremismo di destra ed ho contatti con il mondo della pedofilia. Uno dei motivi per cui lasciai il giornalismo è perché feci la scoperta agghiacciante che oggi, se si vuole, non serve investigare sul sig. Rossi, il sig. Verdi o il sig. Bianchi, ma solo prefiggersi di ricoprirli di fango – come fanno testate come Libero et similia. Un mio capo, in Svizzera, mi disse: che ti diano il nome di una gamba, e in tre giorni ci piscerai sopra. Le versioni ufficiali non vengono più messe in discussione, ricerche non se ne fanno più se non nell’ambito della distruzione mirata della vita di una singola persona. Pensate che di questa tendenza si lamentavano il musicista Frank Zappa e lo scrittore Pierpaolo Pasolini già negli anni 70. Invano. Il mondo dell’informazione ha trasformato la verità in verosimiglianza, questa in tesi possibile, questa in semplice tesi. Stabilire la veridicità viene fatto per metodo statistico: se si controlla la fabbrica delle minchiate, compresa Barbara d’Urso e compagnia cantante, si può arrivare ben presto a far credere alla gente che Gianni Morandi sia nato su Marte, che l’attacco alle Torri Gemelle e lo Sbarco sulla Luna sono state falsificazioni, che Tizio e Caio sono amanti. Una parte di queste cose sono persino vere, ma proprio per la coscienza che sviluppiamo sulla macchina del fango e delle minchiate, tutto vale zero, non si sa più a cosa credere, nulla ha più valore, profondità, durata. In questo casino il fatto che un poliziotto allupato cerchi di capire se io vado a letto con Giuditta o Ernesto, di capire se guido una Ferrari o un triciclo, se vado in vacanza a Ostia o Acapulco, mi sembra irrilevante. Così come sono irrilevante io, voi, tutto. La realtà è un uccello che non ha memoria, cantava Gaber. Lo hanno superato. La realtà è un fantasma che non ha sostanza, se non i selfie che vi siete fatti e le sciocchezze, i gattini e le pietanze che avete mandato giù. E non ditemi che almeno i peletti del gatto non vi rimangano in gola, insieme alla nostra incoscienza.

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