Il Primo Maggio è la Festa Mondiale dei Lavoratori. Da sempre è considerata una festa “di sinistra”, anche se venne istituita da un’amministrazione federale americana, circa 130 anni fa, per cercare di calmare i sindacati. Ancora oggi, chi va in strada, considera se stesso, come lavoratore, disoccupato o pensionato, quale parte del salariato, ovvero della forza lavoro, che è la sostanza del capitalismo. Perché? Perché per la prima volta nella storia umana, con la rivoluzione industriale e la nascita del capitalismo, il “tempo” e la “forza” del singolo cittadino acquisiscono un valore in denaro, calcolato in base alla sua produttività e redditività. Il valore introdotto dal capitalismo è consistito nel promettere a tutti, indistintamente, una speranza di miglioramento della qualità di vita. Spinto dall’ambizione personale, premiato con la ricchezza e con tutto ciò che di buono apporta il progresso scientifico e tecnologico, l’uomo del capitalismo trova un collante per allearsi con altre persone per scalare il destino e raggiungere l’agiatezza dalla miseria e condividerne gli effetti positivi con l’intera umanità. Fin qui le favolette di chi, da sopra la scala, guarda la marmaglia che schiuma di rabbia in questi anni di disoccupazione e frastornata disperazione. La teoria del plusvalore (del valore aggiunto) è la chiave che spiega il meccanismo psicologico che muove la macchina. Compro un Euro di chiodi, un Euro di legno, costruisco una sedia e la vendo a 3 Euro, guadagnando un Euro che prima non esisteva – appunto il plusvalore. Questa teoria presuppone che la ricchezza possa arrivare a tutti: a) se il progresso rende sempre più semplice costruire beni e venderli in aree sempre più lontane; b) se le risorse naturali sono infinite, e quindi permettono che la produzione aumenti di anno in anno per sempre; c) se vengono garantiti valori fissi per il denaro e regole certe e garanzie reciproche sicure per i contratti tra chi da lavoro e chi lo svolge. Come vedete, la seconda e terza condizione sono favolette. Ma la prima pure, purtroppo, nonostante ciò che si dice a proposito della globalizzazione. Come dice da quasi 30 anni l’economista e filosofo tedesco Wolf Dieter Narr, la globalizzazione è iniziata circa tremila anni fa e si è conclusa nel XIX secolo, quando il commercio internazionale aveva raggiunto anche il punto più recondito del pianeta. Ciò che invece quasi nessuno dice, é che il capitalismo (la cui chiave è la produzione di beni) è finito circa 40 anni fa, quando Richard Nixon svalutò il dollaro cancellando la parità fra oro e dollaro. Le risorse naturali stanno finendo, gli stravolgimenti che abbiamo apportato all’ambiente uccidono quanto le guerre (o sotto forma di disastri ecologici, o sotto forma di malattie). Oggi, per aumentare i guadagni, bisogna diminuire i costi, ed i costi si diminuiscono sostituendo la forza lavoro con la tecnologia, oppure pagandola sempre meno. La fine del capitalismo annienta la forza lavoro come ultima variante su cui si possa intervenire per poter diminuire i costi. Per evitare l’apocalisse, le banche e gli Stati hanno iniziato a far crescere le bolle speculative e l’indebitamento individuale e collettivo. I mercati finanziari hanno cercato di sostituirsi all’industria, producendo crisi immani che hanno trascinato migliaia di persone nel gorgo della miseria – e non solo con la crisi globale del 2008. Per mantenere una finta crescita i Paesi occidentali hanno aumentato il debito e poi lo hanno spostato nei Paesi deboli, strozzandoli. Se noi vogliamo avere una bilancia commerciale attiva, qualcuno deve averla passiva, è ovvio. E chi è in quella condizione fa la fame, e dopo un po’ non compra più, sicché chi vende va sempre meno lontano per piegare alla miseria gli acquirenti. Chi vende trasforma i propri cittadini da forza lavoro a consumatori. Chi vende trasforma la forza lavoro e le risorse naturali del Paesi poveri in campi di sterminio e schiavitù. Ma non basta. Per questo ora viene tritata la Grecia, come prova generale per il giorno in cui, se continueremo così, i pochi Paesi che ancora hanno un’industria veramente funzionante (Germania, Cina, Stati Uniti) ridurranno in miseria e schiavitù anche i popoli contermini che non saranno in grado di difendersi. Per questo motivo la Festa del Primo Maggio, oggi, è un grido disperato e cieco di miliardi di persone cui é stato promesso il Paradiso in terra e che vedono invece l’Inferno (il nulla di Michael Ende) avanzare e mangiarsi tutto. Cosa fare? Trasformare questa giornata in una festa della consapevolezza. Il capitalismo non é una condanna genetica o naturale. L’economia non esiste in natura, l’abbiamo creata noi. Noi abbiamo dato le regole e ci siamo messi a seguirle come pecoroni. Noi, ancora una volta, se torneremo ad essere cittadini, con la forza dell’interconnessione globale, abbiamo in mano il nostro destino e quello dei nostri figli. Sappiamo delle cose di cui i nostri nonni non avevano nemmeno l’immaginazione. Quindi abbiamo una responsabilità. Aspettate un uomo forte che risolva, che capisca, che faccia? Guardatevi allo specchio, datevi un paio di schiaffetti, alzate il culo e prendete la vostra vita in mano. Evviva il Primo Maggio, evviva la vita, evviva l’essere umano, meraviglia tecnologica impareggiabile e grande forza dell’emozione universale, con il suo amore e la sua cattiveria. Evviva.

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