– Caro Fabio, questo articolo mi sembra colga con grande delicatezza il centro del problema per come l’ho percepito io nella superficialità del mio contatto in loco. Il problema degli occupanti lo capisco: vogliono evitare che arrivi qualcuno di più importante e conosciuto di loro e gli sfili di mano il giocattolo. Vogliono tenere il controllo ma in modo che sia esteticamente accettabile – il che è un controsenso e non funziona, da qui l’autoreferenzialità. Vogliono decidere in un manipolo di sacerdoti, chiudono le porte in faccia a chi si presenta (Meoni mi ha detto che, per poter prendere la parola in assemblea, uno prima deve – per un periodo di alcuni mesi – aver sofferto quanto gli occupanti, quindi aver passato un periodo lì, pulendo i bagnim cucinando, facendo accoglienza, spostando pesi). Tutte cose cattolicameente comprensibili e belle per un movimento che guarda alla primavera del 1976 come un futuro roseo ed allegro in cui creare steccati fra compagni, supercompagni, rivoluzionari, superrivoluzonari, leaderini e sacerdoti della struttura. Che noia. Senza i grossi nomi che si sono esibiti gratis in questi mesi, il Collettivo del Valle non esisterebbe più. Ma costoro ora potrebbero, se volessero, detronizzare il collettivo, che vive l’occupazione come un’esperienza totale e totalizzante. Capisco la rabbia: mentre tutti gli altri vivono, recitano, guadagnano, amano, loro sono chiusi laggiù, arroccati come una cricca di camerieri d’hotel che speravano di gestire la rivoluzione culturale e sono invece in un certo modo i portantini dell’arte altrui. Se capisco bene nel collettivo scarseggiano gli artisti che creano opere proprie – un altro motivo per avere paura che ora qualcuno arrivi e raccolga il frutto delle loro fatiche. La prosopopea parademocratica, però, non risolverà il problema. Il rifiuto pragmatico a chiamare le cose con il loro nome è quella tipica di chi si avvicina alla politica con la spensieratezza e la preparazione dei giovani che nel 1972 lasciarono Potere Operaio ma ne tramandarono il tragico binomio stalinismo e maschilismo interno vs. sorriso paterno/materno esterno. Roma non ci starà. Così come è messa oggi l’occupazione del Valle, secondo me, non ha futuro. Glisfruttati ed umiliati se andranno a cercare lavoro altrove, i grossi nomi si stuferanno di andarci gratis se il caos interno resta come oggi. Fare statuti e scrivere manifesti è sempre stata l’attività principale di chi non aveva una direzione in cui andare ma voleva gestire con tenacia ed un pizzico di frustrata acrimonia l’esistente. Tutto negativo? Giammai. Il Collettivo ha salvato il Teatro Valle, ha creato una stagione culturale bellissima, strabiliante, innovativa, ha dato a tantissimi (in primis a me) la possibilità di fare un’esperienza indimenticabile. Non voglio che queste splendide persone perdano il Valle – anche se non gli appartiene. Voglio che smettano di scherzare e dicano veramente di cosa hanno bisogno. Poi il futuro dirà se hanno visto bene o male. Se si sono sbagliati, il Valle Occupato morirà. Senza inverno non c’è primavera. Loro sono stati un’estate insperata, il lavoro vero comincia ora, ma solo con l’onestà intellettuale.

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